Luce agli occhi

Il mio occhio sinistro ha deciso ancora una volta di spegnersi… perchè? Corioretinopatia Sierosa Centrale così si chiama, per gli amici CSC, beh così la chiama il mio oculista, ed è lui che la prima volta mi ha detto “Avrai delle recidive… insomma… purtroppo tornerai a non vedere bene e… sarà sempre peggio.”

E da allora io la…. beh “quella”… io non la chiamo più. Ho sempre paura che lei torni e che mi copra gli occhi e mi tolga la luce, come sta facendo adesso.

La prima volta che sono stato nello studio dell’oculista, fu alquanto buffo. Lui mi fa le solite domande di rito e tra queste l’età e quando gli dico “ho 38 anni e da un po di giorni non vedo tanto bene”, ricordo che mi ha guardato con sufficienza, insomma mi ha dato la sensazione che mi stesse per rispondere “è l’età… prima o poi tocca a tutti”. Poi però, il dottore, mi ha voluto vedere con uno strumento particolare, ed in un preciso momento, ovvero, in quell’attimo esatto in cui ha capito cosa avevo, ha stranamente cambiato atteggiamento.

Avete presente quando vi trovate di fronte un disperato e insomma, vi viene la voglia di aiutarlo e soprattutto di chiedergli: “ma come hai fatto a ridurti così?” Ecco, lui mi ha guardato con gli occhi “compassionevoli” ed ha iniziato a dirmi “ma che ti è successo?… che fai nella vita?”.

Vi sembrerà strano certo, penserete “che centrano gli occhi?” Beh la ….. insomma avete capito “quella”… è una patologia che prende solo ad un certo tipo di persone, quelle che vivono per ogni attimo della propria vita mille pensieri, quelle iperattive, quelle che non trascurano, quelle che non tralasciano, quelle competitive, quelle che devono pur se temono, pure se hanno paura… proprio come adesso.

Sono chiamate persone di tipo A, mi piacerebbe capire poi perché “A” e non “F” o “M”. Io sono una persona di tipo “A” e quindi ho vinto sta cosa. Cosa ho risposto al dottore? Beh, semplicemente quello che era accaduto nell’ultima settimana della mia vita… “E’ morto un mio operaio, sul lavoro, ho una pendenza per omicidio colposo e così tanto per controbilanciare lavoro e casa, mia moglie ha abortito alla 30esima settimana una bambina a cui già avevo dato un nome… è da quel giorno che ci vedo male…”.

Il dottore non ha risposto, non subito, beh forse era effettivamente sufficiente per definirmi una persona di tipo “A”.

E così, pare assurdo, ma questa fantastica patologia, proprio quando ti trovi in difficoltà e vivi momenti difficili della tua vita, ti oscura gli occhi, ti toglie la luce… che li per li sembra una difesa del corpo, un modo per non vedere il brutto che ti circonda, ma in realtà è solo un altro bel masso che si va ad aggiungere sulla tua schiena.

Ora, da ottimista, volendo vedere (si fa per dire), i lati positivi della cosa… ogni volta e dico ogni volta che i miei occhi perdono luce… ah già! perchè non ve l’ho detto… il dottore mi ha ben spiegato che: “vedrà dopo 20 o 30 giorni la cosa si dovrebbe riassorbire, questo finchè arriverà un giorno in cui… non si assorbirà più…”, ecco, io sono alla 4° volta sull’occhio sinistro e alla 2° sul destro… dicevo, ogni volta quindi che mi succede di perdere la luce, accade che inizio a vedere le cose in modo diverso, o meglio inizio a vedere le cose con gli occhi di chi potrebbe non vederle più come prima. E allora piano piano cerco di cambiare, insomma cerco di diventare almeno una persona di tipo “B” o “C”. In che modo? rallentando!

Spesso mi sono chiesto: “Ma perché devo vivere in questo modo? Perchè non riesco a lasciarmi un po andare? ad allentare la presa? senza voler sempre essere lì in prima fila, lì in testa a tutti, lì nel punto più alto?”

Beh in poche, anzi pochissime parole, perchè ce ne vorrebbero veramente troppe per spiegarmi… credo che qualcuno mi ha fatto così! Qualcuno mi ha voluto così… mi ha cresciuto così… mi ha insegnato così… ed ora, io, semplicemente, esigo da me stesso di essere così. Perchè la mia testa mi dice che non essere così significherebbe non essere.

Forse un giorno ai miei occhi resterà poca luce… spero che quel giorno ne abbiano giusto quella che mi servirà per continuare a vedere il bello, e perchè no anche il brutto di questa fantastica vita.

Il mio prete credofilo

Avevo 12 anni, primo giorno di scuola, gran paura… e beh ora si faceva sul serio, mica erano più le elementari!

Primo giorno di scuola media, dai preti! Salesiani per la precisione. Non sapevo nemmeno di che si trattasse, chi erano i salesiani e perché i miei mi avevano iscritto alla scuola dai preti? La mia infanzia fino a quel momento l’avevo vissuta lontano dalla realtà del paese e quindi non sapevo nemmeno che esistesse un oratorio; l’oratorio dei salesiani. Comunque ora mi trovavo là, con 30 compagni di classe tutti rigorosamente maschi.

Primo giorno di scuola media dai salesiani, ora di religione! …te pareva… e già! qui siamo dai preti. Stamattina appena entrati: “Ave Maria” e “Padre Nostro”, adesso pure religione, mica mi dovrò far prete? insomma il dubbio ti viene! Questo prete dell’ora di religione però, è strano, è diverso, non so ma… mica pare un prete! E’ pelato, con la barba e va beh, fin qui… ma è molto giovane, avrà 35 anni, parla con un accento non di qui, non di provincia, pare romano e pare un tipo, figo!confessione

Primo giorno di scuola media, dai salesiani, ora di religione con Don Luigi ed un suo amico. Un prete e l’amico del prete che è pure un po schivo, un ragazzo che avrà forse una ventina d’anni. Don Luigi dice che noi ragazzi dobbiamo unirci, che dobbiamo formare un gruppo, ci parla di San Domenico Savio, ci racconta che con il suo amico, quello schivo, quando si trovava all’Oratorio di Roma avevano formato un bel gruppo. Insomma il prete è travolgente e il suo entusiasmo ci convince, o meglio riesce a convincere almeno metà della classe. Nel pomeriggio, dopo la scuola, tutti da Don Luigi, all’Oratorio che si trovava proprio adiacente all’Istituto scolastico.

Così ho conosciuto Don Luigi, il mio prete credofilo! Ovviamente, frequentando l’Oratorio, non potevi non essere coinvolto in tutte le attività che Don Luigi s’inventava. Il suo successo stava nel saper coinvolgere e crearsi una cerchia di collaboratori entusiasti e naturalmente io ero uno di quelli. Giorno dopo giorno la nostra amicizia cresceva.

Ora qualcuno si domanderà ma perchè credofilo? Il fatto è che uno dei ricordi che ho di quel periodo è che… è capitato… insomma che qualche volta io rimanessi a dormire da Don Luigi. Sì, esattamente!! nella sua camera! Uuuuuhhhhhhh!!!! e va beh mica sapevo che fosse così pericoloso!!!! e quel malefico prete credofilo mi obbligava a…. recitare una marea di preghiere prima di andare a dormire… uuuuuuuhhhhh!!! quante ne sapeva, non finivano mai! Non solo! Mi obbligava a lavarmi i denti, lavarmi i piedi, lavarmi le ascelle, tutto! Chiaramente si andava a dormire alle 21, massimo 21:30 e senza televisione! Ci si svegliava alle 6, si pregava e si faceva colazione soltanto con latte e pane, insieme ad una decina di altri preti. Quel malefico prete credofilo! A tavola poi, era inflessibile. Nel bicchiere o nel piatto dovevi mettere solo quello che avresti mangiato o bevuto. Guai se avanzava qualcosa! Malefico!

Don Luigi! Uno dei più grandi amici che io abbia mai avuto. Uno dei pochi veri preti che io abbia mai incontrato. Una delle persone più severe e più amorevoli allo stesso tempo che io abbia mai conosciuto.

Il mio prete credofilo, aveva un credo di ferro, un vivere il vangelo senza eccezioni, senza rivisitazioni, senza interpretazioni strane. Il suo modo di vedere le cose era sorprendente: la morte come un semplice e bellissimo ritorno al padre, l’assoluta mancanza di interesse verso le cose materiali, verso i soldi, verso l’Io. Per lui c’era solo il prossimo e il suo bene. Il suo credo era disarmante.

Eh va beh, è vero, per un periodo se pur brevissimo, ho pure pensato di farmi prete. Insomma, quando uno ha a riferimento una persona felice, realizzata, entusiasta della vita, che non ha paura della morte e di nient’altro, perchè si sente nelle piene mani di un essere al di sopra di tutto… che puoi pensare?

Poi gli anni passano e ti fanno peccatore e allora capisci che sono pochi i preti credofili e purtroppo ci sono pure quelli pretofili.  Non ho più frequentato l’oratorio, non sono più andato in chiesa, non ho più creduto nell’istituzione della chiesa, anche se so che Don Luigi è ancora là, in mezzo ai giovani, con il suo inossidabile credo, ad inventare giochi, ad aiutare, a confessare ragazzi sedendogli affianco, per capire come poterli aiutare, questo faceva.

Cosa è rimasto in me? potrei dire che nel piatto e nel bicchiere, metto solo quello che mangio e bevo e difficilmente lascio gli avanzi, ma non è così, non è solo questo. Non sarò un cattolico, ma ho un Dio in cui credere. Non prego… non voglio chiedere di più … ringrazio!…lo faccio tutti i giorni! Il mio caro Don Luigi! A lui debbo molto. Una gran parte di me oggi la debbo a lui.

Il sapore dei ricordi

Non c’è da meravigliarsi se oggi in tv si vedono tantissimi programmi legati ai sentimenti e alla cucina. Non voglio discutere del livello o della qualità di tali programmi, ma mi interessa sottolineare la vicinanza tra amore e cibo. L’amore e il cibo sono forse le più importanti necessità che abbiamo. Iniziamo la nostra esistenza ciucciando latte dalla tetta di mamma, come può tale connubbio non accompagnarci per tutta la vita?Sapore dei ricordi

E così la maggior parte dei nostri momenti migliori li viviamo o in un letto o seduti ad un tavolo! Socializziamo e festeggiamo con gli amici, con la nostra famiglia, con il nostro amato e inevitabilmente ogni giorno rafforziamo il rapporto tra il cibo e le emozioni.

Ora, da qualche tempo mi dedico alla cucina e non ho potuto quindi non guardare certi programmi televisivi. Vi sarà capitato no? Di vedere quei cuochi, anzi, chef che fantasiosi accostano il sapore delle “zampe di quaglia siberiana uccisa d’estate al tramonto”, a profumo di chi sa quale spezia esotica raccolta solo durante il plenilunio.

Come molti, affascinato da queste peripezie culinarie, non ho potuto, non ho resistito, non ce l’ho proprio fatta a non provare qualche accostamento inconsueto, insomma, strano. Vi ricordate no? quando da bambini mangiavate panini con maionese e nutella? Dai! Ognuno di noi ha avuto quel momento lì, il momento delle schifezze! Ecco, la faccia di mia moglie quando preparo certi piatti, è la stessa di mia madre quando mangiavo quei panini!

Poi però è successa una cosa. Un giorno, anzi una sera di quelle che vado a mangiare dai miei genitori. Ero a tavola nell’attesa del piatto e sapendo che mia madre cucina molto bene, ero li aspettando chi sa quale pietanza. Quella sera però non aveva cucinato mia madre, ma mia nonna.

Arriva la pentola che viene messa al centro del tavolo e già da quel momento qualche cosa mi scuote. Non capisco cosa succede, ma sono gli odori, gli odori che escono da quella pentola i colpevoli di tutto. Non resisto, apro il coperchio e guardo dentro e in un istante vengo catapultato indietro di 30 anni.

Uova al sugo di pomodoro! Ora, non so se riuscirò a trasmettere a chi legge le sensazioni che ho provato nel vedere, nell’odorare, nell’assaporare quel piatto, perchè i sensi coinvolti sono troppi.

In quel momento, alcune immagini si sono fatte vive in me: Una pentola che borbotta; un sugo che bolle; io che torno da scuola all’ora di pranzo e vado a casa di nonna; lei che per spegnere la mia fame, in attesa di nonno, come ogni giorno prende una fetta di pane, la intinge nel sugo e me la mette in un piatto. Un momento fantastico.

Come un piatto, del quale scopri i sapori di forchettata in forchettata, in quello stesso istante, tra le altre cose, agli occhi e nel naso, mi è arrivato il ricordo più bello: l’odore dei suoi abbracci. Negli abbracci di nonna c’era l’amore ed i profumi della terra, mischiati sapientemente insieme a condire momenti indelebili.

Nonna, con un piatto che più semplice non poteva essere, quella sera ha cancellato ore ed ore di programmi televisivi, di ricette complicate o di chef stellati. Non ho resistito, le ho chiesto subito la ricetta e quando mi ha detto le poche cose che c’erano in quel piatto, beh, ho capito una cosa, importantissima, forse fondamentale per qualsiasi vero cuoco.

In tutti i piatti di mia nonna c’è un ingrediente fondamentale, uno di quelli che tanto più lo usi e tanto più è buono il piatto. Uno di quelli che ti accompagnano dal momento in cui, pensando alla persona, ti chiedi cosa cucinare, al momento che servi in tavola e aspetti che quella stessa persona porti alla bocca la prima forchettata.

Quella sera ho imparato che cucinare per qualcuno, è come amare e non importa cosa cucini. La passione e l’amore che ci metti, passa attraverso i sapori e magicamente li esalta, trasformandoli nella pietanza di cui tutti abbiamo più bisogno.

I rifiuti della memoria

Polaroid_Land_Camera_360C’è chi vive tra i rifiuti, chi lotta contro i rifiuti e chi, come me, con i rifiuti ci lavora tutti i giorni. Ormai sono abituato a non parlare troppo del mio lavoro, beh perchè i rifiuti puzzano, puzzano di losco, di sporco, di poco chiaro. Comunque, trattando rifiuti, capita molto spesso che mi trovo alle prese con le più disparate merci, con i più impensabili oggetti e con i più bei “non rifiuti” che voi possiate immaginare.

I “non rifiuti”? Sono ovviamente tutti quei rifiuti che tali non sono, ma che per ragioni a volte futili, a volte semplicemente commerciali, si trovano insieme ad altri rifiuti. Tra i non rifiuti che più amo ci sono quelli appartenenti alla memoria, quelli che guardandoli ti raccontano una storia, quelli che toccandoli o annusandoli, come la più sofisticata delle macchine del tempo, ti riportano al passato.

Così capita di trovare una fotocamera Polaroid degli anni ’60, una radio antica, vecchi documenti, come un tesserino del “Partito Nazional Fascista” del 1932, oppure una scheda elettorale datata 2 giugno 1946, già, proprio quella che ci ha fatto passare dalla Monarchia alla Repubblica. Vi lascio immaginare quale gioia provo ogni volta nello scovare tali tesori, nel toccarli, nel salvarli dal peggiore dei destini. E se pensate che il peggiore dei destini sia la discarica, vi sbagliate di grosso, ancor peggio è senza dubbio l’oblio. Continua a leggere

Trappola per topi

Pensate ai topi! Ora, la prima cosa che vi verrà in mente, è sicuramente qualcosa di disgustoso, di sporco, di infimo, ma vi siete mai chiesti come pensa un topo? come si comporta? Probabilmente il vostro preconcetto, i ricordi di bambino, le immagini raccapriccianti di qualche film, hanno sempre risposto per voi. E’ così! L’aspetto conta, i preconcetti contato, il sapere comune conta, tutto questo finché un giorno accade qualcosa che ti fa capire che tra te e un topo, forse non c’è tanta differenza e che forse, il vero topo sei tu.topo

Qualche anno fa, in quel bellissimo periodo in cui ero ancora uno “studente”, avevo due splendidi cavalli di nome Principe e Pegaso. E’ una storia lunga quella dei cavalli e della piccola “fattoria” che mi ero costruito sotto casa, ma non è la storia che voglio raccontare. Insomma, nella mia fattoria, oltre ai due cavalli, avevo anche qualche gallina che ogni tanto faceva le uova e un gallo che stava li a fare… emmh… il gallo.

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L’abbraccio del pubblico

Peter Brook grande registra inglese, sosteneva che uno spettacolo nasce e trova il suo successo attraverso tre elementi fondamentali: “Répétition, répresentation, assistance” ovvero: Le prove; la messa in scena e il pubblico. Ora, le prime due sono abbastanza scontate e sottolineo abbastanza, ma l’ultima merita diverse riflessioni.

La maggior parte delle persone, anzi, io stesso fino a non molto tempo fa, credono che il pubblico sia solo il motivo dello spettacolo, ovvero la ragione per cui si monta e si mostra uno spettacolo. Ma la verità, è che il pubblico è un elemento fondamentale per la buona riuscita di uno spettacolo.

Qualcuno penserà che io sia matto, ma da quando l’ho capito, ogni volta che provo un pezzo e magari sono da solo, prima ancora di rivivere in me la scena da rappresentare, cerco sempre di immaginarmi un pubblico che mi siede davanti. Il pubblico è fondamentale, così come lo è stato qualche sera fa.

Mercoledì 31 luglio ore 21:45, sto per iniziare l’ennesima replica di Novecento, stavolta però, ci sono un sacco di elementi nuovi rispetto a tutte le altre volte che l’ho messo in scena. Continua a leggere

Quando non c’erano i cellulari

Elisa: papà ma quando eravate piccoli c’erano le cose elettroniche?
Io: molte di meno… i cellulari non c’erano ad esempio
Elisa: mmmhhh e come vi mandavate i messaggi?
Io: Avvicinati a me… (mi accosto al suo orecchio e le dico)… Ti voglio bene Elisa! … ecco, così si faceva.

Sapevo cosa fare

Certi traumi o incubi che per anni ti hanno perseguitato, delle volte, inaspettatamente, tornano alla mente. E’ successo ieri sera quando mio figlio, di ancora 2 anni, durante il cambio del pannolino ha bagnato il letto, il mio letto, la parte su cui dormo. Ora, un letto bagnato di pipì, tu lo puoi anche asciugare, ma per giorni non potrai mai togliere né la macchia che resta sul materasso, né l’odore acre che inevitabilmente ti arriva al naso mentre dormi.

Proprio quell’odore ha risvegliato in me ricordi ormai sopiti. Ho fatto la pipì a letto fino a 12 anni. Già, 12 anni! Inutile star a parlare del come e del perchè, ma sicuramente è importante parlare di cosa lascia quella pipì, di quali macchie indelebili è capace oltre a quelle sul materasso.

Di quel fatto ricordo benissimo diverse cose, tra le quali le umiliazioni verbali, che avrebbero dovuto servire a farmi smettere, oppure il ferro da stiro che mia madre mi faceva passare sul materasso per farlo asciugare… “l’odore” delle esalazioni del ferro da stiro! Poi ricordo i pianti, quelli di notte quando mi svegliavo in un lago giallo, quando per evitare gli “aiuti verbali” da solo ed in silenzio, sapevo già cosa fare.

Come ne sono uscito? Pensate che d’un tratto come niente ho smesso? No… ho smesso grazie ad un prete, l’unico “vero” prete che io abbia mai conosciuto. Quando si trattò in 1° media di andare a fare un campo scuola di una settimana, i miei con grande nonchalance raccontarono, davanti a me, che sarebbe stato un problema per me andare. Il caro Don Luigi allora fece una cosa semplicissima, ma era la più stupida e banale che bisognava fare… affrontare il “problema” come un “non problema”. Non vi sto a raccontare i dettagli ma in nemmeno un mese smisi di usare il ferro da stiro!

Qualche anno dopo ormai più che ventenne, Don Luigi che non vedevo da diverso tempo, ma con il quale mi sentivo abbastanza spesso, mi invitò a fare da assistente in un campo scuola di bambini di 10 anni. Un campo scuola presso la stessa località di diversi anni prima. Accettai, perchè fare per gli altri è bello, accettai perchè fare per il mio amico era bello, accettai perchè la diversa prospettiva in cui mi mettevo mi entusiasmava.

Perchè parlo del campo scuola? Perchè una notte mentre dormivo in una delle stanze insieme ai bambini, mi sono sentito tirare la maglietta, era Giacomo un bambino molto timido che dormiva nell’angolo della stanza. Con voce spenta ma chiara mi disse “mi sono bagnato”. Forse, qualcun altro a quella frase, gli avrebbe magari chiesto “con che?” ma io sapevo benissimo cos’era successo. Nel tempo di quelle tre parole sono tornato indietro di 10 anni. Io sapevo cosa fare.

Rassicurai Giacomo, gli dissi che non doveva preoccuparsi di niente, poi tolsi il lenzuolo di sotto, rovesciai il materasso, gli feci togliere il pigiama bagnato e in pochi secondi lo vidi nuovamente accucciato nel suo letto. La mattina seguente andai io stesso a lavare il lenzuolo facendolo poi asciugare al sole, ovviamente di nascosto da tutti i suoi compagni. Quello fu l’unico episodio durante quei giorni in cui Giacomo fece la pipì a letto.

C’è chi incontra preti pedofili, chi invece angeli custodi. La vita ci mette continuamente alla prova e quando vuole come niente ci toglie tutto, ma anche di fronte alle sue avversità, un amico, l’amore, l’amicizia ci possono far riscoprire un mondo migliore.

La felicità

Elisa: Papà sei triste?
Io: beh, si, un pochino
Elisa: non essere triste… pensa ad una cosa bella… pensa che siamo in giardino e giochiamo 1000 volte al gioco dell’oca… e vinci sempre tu!!!
Io: tvb Ely

Ci sono parole…

Ci sono parole che da sole dicono poco o anche niente ma se usate in un certo modo, se dette in un certo momento…

Sabato 14 aprile, ci svegliamo tardi, in programma abbiamo una festa di compleanno per bambini nel primo pomeriggio, così la mattinata passa da prima sul lettone, tutti insieme a giocare e poi continua oziando in casa, nell’attesa di arrivare al primo pomeriggio.

Finalmente usciamo da casa ed Elisa, come al solito, è euforica all’idea di andare ad una festa di compleanno. Arriviamo… ci sono tantissimi bambini, troppi bambini e come spesso capita quando l’ambiente è troppo “movimentato” la mia bambina trova difficoltà ad inserirsi… ehm… lei è una “principessa” e come tale ama la calma. Così in mezzo a quella marmaglia di bambini che urlano e si lanciano giocattoli, la vedo prendersi pochi dolcetti dal tavolo del buffet, sistemarli su un piattino di plastica, versarsi l’aranciata in un bicchiere di plastica e poi sedersi ad un tavolino, di plastica anch’esso.

Seduta la in mezzo mi fa un po tenerezza, mi piacerebbe andare lì ad abbracciarla, ma poi penso che è giusto viva la sua infanzia e trovi da sola il modo di cavarsela. Poco dopo, guardando di nuovo verso di lei, mi accorgo che ha fatto amicizia con un’altra bambina, calma, come lei e con lei siede sullo stesso tavolino di plastica di prima, chissà cosa si dicono.

Andiamo via dalla festa, è abbastanza tardi e abbiamo praticamente già cenato spizzicando sul tavolo del buffet. Non pienamente soddisfatto chiedo a Doriana di andare in qualche locale per mangiare ancora qualcosa. Doriana però è stanca e così mi viene l’idea di andare con Elisa a prendere un aperitivo. Lo facciamo spesso quando insieme torniamo a casa la sera: io da lavoro e lei dall’asilo. Elisa è contentissima.

Dopo aver lasciato la macchina in garage, a piedi raggiungiamo il locale dove di solito andiamo, è pieno di coppie e di ragazzi giovani. Con Elisa ci sediamo ad un tavolo e di colpo mi rendo conto che in quel momento siamo come lei e la sua amica alla festa… soli e diversi in mezzo a decine di persone.

Ordinata l’aranciata per lei e un cocktail per me, iniziamo a parlare di cose di poco conto. Il bello non è nella qualità delle cose che ci diciamo ma nella quantità, nel fatto che amiamo parlarci e comunicare. Poi a un certo punto come spesso faccio mi viene di chiedergli… “qual’è stato il momento più bello della tua giornata?” e lei senza pernsarci un attimo mi risponde: “questo”. A stento ho trattenuto l’emozione.

Ci sono parole che da sole dicono poco o anche niente ma se usate in un certo modo, se dette in un certo momento…