Da due, tre giorni a questa parte, non faccio che ricevere bellissime notizie. Sul lavoro una molto importante che aspettavo da quasi 4 anni, per la salute tante conferme del mio miglioramento dopo l’intervento e poi mi arriva la pagella di Matteo e non c’è lavoro o salute che tenga.
La questione della scuola Italiana dei “voti” vs i “giudizi” è una lunga storia. Ed è vero quando si dice che un voto da solo non racconta niente.
Gli 8 o i 7 della pagella di mio figlio hanno valore perché evidenza di uno sforzo continuo, giornaliero contro mille difficoltà che ti remano contro. Nemmeno io da aut-papà posso immaginare le difficoltà sensoriali o cognitive o relazionali che ogni giorno anzi ogni singolo momento Matteo con il suo Autismo deve affrontare per ogni minimo insegnamento che riceve a scuola.
Per farvi capire… Non mi piace il calcio, lo so è strano, ma ricordo certe partite: quelle in cui affronti la squadra più forte del mondo, quelle in cui ci sono stati tanti falli e un arbitro che ti rema contro, quelle in cui finiscono i due tempi e pure i tempi supplementari e sei ancora 0 a 0, quelle in cui arrivi ai rigori e per una lunga ed interminabile serie di rigori battuti, tu soffri insieme ai giocatori in campo… finché arriva quel momento e la palla entra in rete e vinci i mondiali…. ecco non avrei potuto descrivervi in altro modo cosa proviamo in famiglia quando Matteo raggiunge i suoi piccoli traguardi dopo un interminabile sfilza di tentativi.
Io e te, come ai mondiali, verso l’infinito e oltre
Capita a volte che debba prendere i bambini ma che Elisa tra le sue attività, faccia un po tardi e quindi ci troviamo io e Matteo a dover organizzare qualcosa da fare in un’ora d’attesa e di solito c’è una cosa che amo fare con lui: andare a passeggiare sulla spiaggia.
Così abbiamo fatto l’altro giorno, mano nella mano, lui senza scarpe, perchè le ha fatte fuori appena arrivati, ed io a godermi la sua e la mia serenità. Il mare è un ambiente perfetto per noi. Niente parole, il vento, niente rumori oltre quelli delle onde che frangono, ed uno spazio sterminato per fare le nostre corse dove vince sempre lui.
Il sole era quasi al tramonto, ed eravamo vicini ad un posticino carino per gli aperitivi, di quelli che hanno i tavolini quasi sulla sabbia e ti permettono di goderti lo spettacolo di fine giornata.
Ci sediamo al tavolo ed in quel momento accade qualcosa, un epilogo perfetto, qualcosa che le tante persone ai tavoli non possono aver notato, qualcosa che mi spiazza. Matteo con nonchalance mi guarda e mi chiede: “papà, cosa beviamo?”.
Lo so a voi suona “normale” per una scena di un padre ed un figlio super compagnoni, con tanta complicità, che amano stare insieme, che si godono un buon aperitivo, tutto giusto… ma togliete alla scena tutti i dialoghi. Perché una delle cose che fa l’autismo è questa, toglie i dialoghi ma lascia tutto il resto.
Me lo ha ricordato Matteo in quella occasione. I nostri momenti sono fatti di tanto silenzio ma tutto il resto è là! Quella frase non l’aveva mai pronunciata. figuriamoci mi è preso un colpo, sembrava provenire da qualcun altro. Ma in quella piccola frase ho potuto “sentire” la nostra complicità e la gioia di trovarsi li a condividere quel momento.
“Amore mio… uno Spritz e un’aranciata!”
Io e te davanti a mille tramonti verso l’infinito e oltre.
Invece sarebbe bello oggi non amarti, così, per sfizio, giusto per ricordarmi com’era prima di incontrarti. Sarebbe proprio bello oggi non amarti, e tornare a casa stasera e trovare te e innamorarmi ancora, come la prima volta, come accade ancora, giorno dopo giorno. Sarebbe bello oggi non amarti… ma ti amo anche oggi, esattamente come tutti gli altri giorni!
Anche quest’anno sono stato a Ecomondo fiera di riferimento del mio lavoro e come capita spesso ho partecipato ad una cena su invito di un importante gruppo del settore. Immaginavo, già ancor prima di andare, che sarebbe stata una cena con momenti “comunicativi”, quello che non immaginavo però è che tutto sarebbe iniziato con qualcosa al limite del “Disability Washing”.
Non conoscete il termine? Fino a pochi giorni fa nemmeno io. Conoscevo il “Green Washing” che vuole rappresentare il voler forzatamente divulgare un’immagine aziendale sensibile ai temi ambientali ai soli fini commerciali e di questo, aziende come le nostre che si occupano di servizi ambientali, sono spesso accusate. Ecco, chi fa Disability washing fa la stessa cosa ma con la disabilità.
Pensavo di andare a partecipare ad una buona cena, immerso in un contesto di decine di persone che conosco e che fanno il mio stesso lavoro, invece sono andato a lezione forzata di inclusione e disabilità, pur avendola tatuata sulla pelle e nel cuore. Sono stato fortemente scosso. Non ho dormito.
Il fatto è questo. Sono anni che mi occupo tra le altre cose dell’immagine della mia azienda, un’immagine che cerca in tutti i modi di trasmettere agli altri che la nostra è un’attività industriale come tante altre e che abbiamo certamente una sensibilità, ma per qualcosa che facciamo nei fatti! Abbiamo il “recupero” nel sangue e nell’anima da sempre, ma è nei fatti che lo dimostriamo.
“Fatti e non pugnette” diceva un comico di Zelig che amavo. Sono certo caro imprenditore che hai deciso di intrattenermi a tavola con una lezione sull’inclusione e la disabilità durata forse 20 minuti, che tu abbia veramente a cuore questo tema e allora completo la tua lezione con qualcosa che spero davvero ti faccia riflettere.
Esistono diversi tipi di “inclusioni” che stanno a cuore a tutti i disabili e a tutte le famiglie dei disabili: L’inclusione scolastica per i più piccoli, l’inclusione lavorativa per gli adulti e l’inclusione sociale per tutti. Noi imprenditori che ci occupiamo di “lavoro”, se davvero abbiamo a cuore questo tema, possediamo e maneggiamo la cosa più preziosa a cui un disabile possa ambire.
Caro imprenditore hai un fantastico gruppo, e lo dico sul serio, che oggi conta probabilmente 1.500 dipendenti, ti lancio una proposta: Perchè fermarsi all’obbligo di legge di assumere il 7% di disabili? Perchè non aumenti quella percentuale, anzi, facciamolo insieme. Pensa se solo la portassimo all’8% nel tuo caso, con un solo punto percentuale, daresti lavoro ad altri 15 disabili!
Hai spiegato durante la cena che la fondazione che hai creato non è erogativa ma fa azioni concrete nel campo dello sport con la realizzazione di campi di calcio inclusivi! Mi complimento con te, tutto molto bello e lodevole.
Ma sai, penso a Matteo, mio figlio autistico, un giorno, quando avrà superato i 18 anni e avrà fatto una bellissima partita inclusiva di calcio per poi tornare a casa e non avere nessuna altra cosa da fare, nessun lavoro, nessuna prospettiva per il suo futuro.
E’ il “lavoro” il bene più prezioso! è il lavoro che un giorno lo farà sentire utile e totalmente abile nonostante la sua disabilità. E’ il lavoro che come imprenditore puoi, posso e possiamo, anzi dobbiamo offrire. Posso lasciare in eredità a mio figlio mille campi da calcio e un buon conto in banca ma farò molto di più nel momento in cui riuscirò ad impegnarlo in un lavoro in cui potrà finalmente sentirsi incluso.
“Fatti e non pugnette” io lunedì tornerò in azienda e grazie a te mi sono caricato di obiettivi concreti che spero quanto prima di realizzare.
Era all’incirca il 1998 quando in azienda avevamo da poco costruito una nuova palazzina degli uffici, quella che oggi è l’accettazione. Eravamo nella fase di finitura dell’impianto elettrico, ed il nostro impianto di recupero di Pomezia, era giusto agli inizi di quello che sarebbe stato un lungo, aspro ma entusiasmante percorso. Al tempo lavorava con noi mio nonno Dante.
Se c’è una cosa che ho imparato negli anni, è quanto le origini di un’azienda improntino nell’azienda stessa una animo indelebile. Mio nonno (Ortolani) ma anche un altro nonno (Orsaia) che molti anni prima era presente, avevano il “recupero” nel sangue.
Era un giorno come un altro. L’impianto allora aveva molta meno impiantistica di oggi, c’era quindi molta più selezione manuale dei rifiuti rispetto alle tecnologie oggi utilizzate.
Quel pomeriggio vedo arrivare mio nonno con uno strano aggeggio nelle mani. Come spesso capitava, aveva trovato qualcosa di interessante tra i rifiuti. Era un asciugamani elettrico e sembrava nuovo e perfetto per il nostro bagno ma qualcuno aveva deciso di disfarsene e gettarlo tra i rifiuti… era il 1998.
Quell’asciugamani oggi è ancora attaccato in uno dei nostri bagni e da 24 anni svolge il suo lavoro. Perché vi racconto questo? Non è solo per trasmettervi quanto è nel “nostro” animo il “recupero” ma mi piace soffermarmi anche ad altri aspetti.
Qualcuno, 24 anni fa, ha buttato un oggetto funzionante generando un rifiuto tra l’altro composto da plastiche e materiali poco recuperabili con un probabile e conseguente avvio di buona parte di esso in discarica.
Qualcun altro, ha pensato bene di riutilizzarlo, sottraendolo alla discarica, riducendo la necessità di utilizzare nuove risorse per acquistare lo stesso oggetto nuovo e regalando all’oggetto una nuova vita.
Un sacco di persone nel frattempo hanno deviato il loro modo di produrre e consumare verso un sistema produttivo “usa e getta” in cui non è necessario (anzi è sconsigliabile) che un bene duri così tanto!
Molti altri, durante i 24 anni, gli stessi 24 anni in cui il nostro supereroe continuava ad asciugarci le mani, hanno continuato a comprare, utilizzare e buttare asciugamani obsoleti, chissà per quante volte!
Qualcun altro, io, oggi, poneva le mani e faceva un gesto ripetuto da 24 anni senza problemi e pensava a suo nonno.
La soluzione al problema dei rifiuti è non produrli.
Argomento difficile quello della fede, soprattutto quando non hai più un buon rapporto con nostro Signore. Ieri Matteo ha fatto la prima comunione.
Mio figlio è un’anima pura, chi lo conosce lo sa e certamente tra i bambini che domenica hanno fatto la prima comunione, è tra quelli che nessuna confessione può rendere più puro di quanto lo è già. Va beh… se tra i peccati ci mettete, “ha rubato biscotti dalla cucina”, oppure “ha rubato il telecomando per vedere i cartoni senza permesso” allora andrebbe di certo nel girone dei ladri di biscotti e telecomandi.
Immagino che già accettare da disabile l’idea di un Dio che ti ama sia molto difficile, ma accettare l’idea di un Padre dei celi che ti ama, quando sei padre di un figlio disabile, è qualcosa che io ancora non riesco a concepire. Matteo forse un giorno amerà il suo Dio con consapevolezza, io per ora continuo a farmi domande.
Domenica Matteo ha fatto la Comunione, era bellissimo. E’ stato un’ora e mezza fermo al primo bancone, proprio davanti l’altare. Teneva la mano di mamma da una parte e di papà dall’altra, di certo consapevole che quella era una festa per lui. Dietro di noi tutta la sua famiglia. Qualcuno all’inizio della celebrazione gli ha detto qualcosa tipo: “Dai che oggi sei al centro dell’attenzione!” io soltanto tra me e me rispondevo “Lo è tutti i giorni… da sempre”.
Da aut-papà una delle cose che mi preoccupa, è la possibilità per Matteo di avere un giorno degli amici. Essere amico di un autistico è molto difficile ed è per tale ragione che molto spesso questi ragazzi sono condannati a non avere amici.
In una amicizia “normale” in genere, c’è un continuo dare e avere in gesti, parole sguardi o sensazioni, tutti elementi questi che in una relazione con una persona che tra i suoi deficit ha quello sociale, diventano spesso un dare a senso unico. Come si può essere allora amici ad un autistico?
Per me risulta facile amare Matteo. Il mio amore è incondizionato. Non ho bisogno che mi torni indietro niente per amarlo. Sono abituato a non risposte, a mancate dimostrazioni d’affetto, oppure a riconoscere tutto questo all’interno di piccoli gesti o parole spesso impercettibili agli altri. Ma soprattutto sono abituato a dissetarmi di attimi impagabili che ogni tanto arrivano, in cui un sorriso, una parola, un abbraccio mi trasmettono tutto quello che per giorni mi è mancato.
Per me è facile ma per gli altri? Non lo so e continuo a non saperlo anche dopo aver osservato ieri Matteo e la sua “amica” Michela giocare per ben 6 ore ininterrotte in una piscina.
Non so descrivervi la gioia di veder mio figlio giocare con una sua coetanea. Non so descrivervi la capacità di Michela nel sapere accogliere e coinvolgere Matteo annientando l’autismo. Se qualcuno li avesse osservati avrebbe visto semplicemente due bambini che giocavano. Io, guardandoli vedevo una speranza: la speranza che un giorno Matteo possa avere accanto amici come Michela.
E così oggi mi chiedevo ma cos’è l’amicizia? Probabilmente è qualcosa che come nel sentimento dell’amore, quando è vera, prescinde da ciò che ci torna indietro in gesti o parole e che ci porta a riconoscere nell’altro un bene prezioso da custodire con cura.
Questa volta cedo il posto…. Tu e la tua amica verso l’infinito e oltre!
Da sempre nel mio portafoglio, infilato da qualche parte, porto un kit cucito, di quelli che si trovano negli alberghi. In tanti anni che me lo porto dietro, non lo avevo mai usato. Poi un giorno incontro una sarta e conoscendo il mio vezzo, puntualmente, quando c’è da cucire in emergenza mi chiede ago e filo. Non so, ma tutto questo mi suona strano. E’ un po come se quel kit, negli anni, mancasse di qualcosa per avere motivo di esistere.