Il Cinema

La nostra vita è composta di fasi, di momenti precisi che scandiscono perfettamente il tempo che passa. I figli, per chi li ha, sono una scure che taglia perfettamente il nostro percorso: la loro nascita, il primo dentino, il primo amore sono solo alcuni dei passaggi obbligati che nel bene o nel male segnano la nostra vita con grandi o piccole emozioni. A me ieri è toccata una grande emozione quando Elisa ha affrontato davanti tutti i suoi professori il suo esame di terza media!

Non vorrei raccontarvi che parliamo di questo esame da 2 anni, non vorrei ma non posso. Il livello di ansia di mia figlia è ereditario e purtroppo da entrambe le parti! Sono due anni che pensa a quale sarebbe stato l’argomento degli esami e dopo due anni, quest’anno finalmente ha deciso che l’argomento sarebbe stato “Il Cinema”.

Bene, dico io, lo trovo originale e permette facilmente di agganciarsi a tutte le materie. E così per Tecnologia decide di parlare della “Macchina da presa”; per storia della “Belle Epoque e dei Fratelli Lumiere”; per Inglese racconta in lingua la trama di “The terminal” interpretato da Tom Hanks uno dei suoi attori preferiti e così via per le altre materie.

“Ed Italiano?” Le chiedo io. “Papà, per Italiano ho deciso di parlare di Alessandro Baricco e di Novecento”. Ora pochi sanno perché a questa risposta mi sono emozionato, perché solo chi mi conosce sa che ho portato in scena a teatro decine di volte il monologo di Novecento di Baricco e pochi sanno quanto io sia particolarmente attaccato a questo monologo. Il piacere poi è aumentato quando mi ha detto “…peccato che la prof. di Italiano non sia tanto d’accordo perché vorrebbe io portassi qualche autore classico, ma ho insistito e porterò Novecento.”

Arriva il giorno dell’esame, siamo tutti emozionati. Solo la mamma può entrare, per via del Covid, poco importa, io mi metto da fuori appoggiato alla finestra e sono praticamente a tre metri da lei. Mi avvicino quanto basta ma resto voltato quasi di spalle perché non voglio rischiare di interferire. Sta per iniziare l’esame, Elisa prima di andare alla cattedra attira la mia attenzione e mi fa un gesto portando prima le dita agli occhi e poi al collo, il messaggio era: “se piangi ti uccido!”.

Mi conosce e sa che la mia emozione è forte. Ricordate il discorso delle fasi della nostra vita? In un attimo rivedo me agli esami di terza media e poi in sequenza: lei appena nata, lei bambina e poi finalmente metto a fuoco la mia ragazza che davanti alla commissione mantiene una calma eccezionale.

La prof più vicina a lei è quella d’Italiano, quella che tutti i ragazzi temono! In effetti nelle sessioni precedenti era quella che faceva più domande fuori tema. Se Elisa teme qualcosa agli esami è senz’altro lei, la professoressa di Italiano.

Inizia l’esame. Elisa con grande calma apre una cartellina che porta con se e chiede ai professori se può consegnargli un biglietto. Ed i professori restano subito colpiti dal biglietto che in pratica è la riproduzione di un biglietto del cinema, un biglietto dello spettacolo che anche loro insieme a me stanno per vedere.

La mia fase della vita sta scorrendo davanti ai miei occhi e me ne godo ogni singolo istante. Quasi ripeto la tesina a memoria insieme ad Elisa dopo averla ascoltata da lei che la ripeteva a me e la madre per decine e decine di volte.. ricordate il discorso dell’ansia?

La presentazione, il modo di esporre, tutto fila liscio, tant’è che i professori la interrompono come a dire “ok, basta così, va benissimo”. Ma proprio la professoressa di Italiano nota qualcosa, è come se Elisa non fosse soddisfatta. E allora le chiede: “Elisa, che c’è, vuoi dire qualcos’altro?”.

Ora, se stai dando un’esame e stai andando benissimo, tant’è che ti hanno fermato, tu non puoi voler aggiungere qualcos’altro giusto? E poi scusa, proprio la prof di Italiano te lo sta chiedendo… fermati!!

Ma Elisa, era evidentemente non soddisfatta, le mancava di dire qualcosa a cui teneva in modo particolare. Bene, io fino a quel momento avevo trattenuto l’emozione. Ma quando ha risposto “Si professoressa, vorrei parlare di Novecento di Baricco” beh allora non ce l’ho fatta, istintivamente ho fatto qualche passo per allontanarmi dalla finestra perché l’emozione era troppa, poi sono tornato e mi sono gustato lo spettacolo.

Non ha aggiunto altro il fatto che Elisa mi abbia detto poco dopo che aveva fatto questa cosa per me, non ha aggiunto altro perché era un messaggio che mi era arrivato forte e preciso.

La nostra vita è composta di fasi, di momenti precisi che scandiscono perfettamente il tempo che passa. Esame di terza media di mia figlia…. fatto!

Il primo giorno di scuola

Quanti primi giorni di scuola vi ricordate? Non ho dubbi, sicuramente il vostro o quello dei vostri bambini alla prima elementare o alla prima media. La nostra vita è fatta di giorni buoni e di giorni meno buoni e poi ogni tanto di giorni speciali. Accompagnare il proprio bambino a scuola il primo giorno è di solito un insieme di emozioni contrastanti che vanno dall’ansia che tutto vada bene, alla gioia di vederlo crescere.

Quando però hai un figlio autistico tutto cambia. Ed è assurdo dovervi spiegare che tutto cambia non a causa dei disturbi dell’autismo ma di un sistema scolastico che ogni anno rende questo giorno uno dei peggiori.

E così mentre le normo-famiglie si preoccupano se le maestre saranno brave, oppure se il proprio bambino andrà d’accordo con i compagni, o se sarà bravo a scuola, noi, famiglie autistiche, il primo giorno di scuola abbiamo in testa un’unica terribile preoccupazione: Ci sarà qualcuno ad occuparsi di mio figlio?

Magari saprete che i bambini autistici, come ogni altro bambino che ha disabilità, hanno una assistente o una insegnate di sostegno, ed è vero, ma per i primi giorni di scuola spesso non così!

I primi giorni di scuola, siccome le risorse sono poche e le scuole devono arrangiarsi con quello che hanno, capita che queste risorse ancora debbano essere assegnate, capita troppo spesso che i bambini ancora non abbiano assegnata né una assistente educativa né una insegnante di sostegno!

Capita quindi che tu famiglia autistica arrivi a scuola e vieni a sapere che non ci sarà nessuno che si occuperà di tuo figlio, nessuno che lo aiuterà a trovare l’aula, ad andare in bagno, a relazionarsi con gli altri… nessuna mano sicura a cui affidare la sua mano.

E così quello che normalmente dovrebbe essere un giorno speciale, si tramuta in uno dei centinaia di giorni in cui noi famiglie autistiche combattiamo contro un sistema che non è pronto ad accoglierci.

Quest’anno Matteo farà la terza elementare, ancora non sappiamo con certezza quali e quante risorse la scuola gli assegnerà, ma sappiamo che sono già due anni che è circondato dall’affetto di una classe che lo ama… tante piccole mani sicure a cui lasceremo tranquillamente il nostro bambino… e questo ci fa ben sperare in un mondo migliore, un mondo dove… nessuno deve restare indietro!

Auguri a mamme e papà

Cara Mamma e Papà del compagno o della compagna di mio figlio Matteo, non posso quest’anno non mandarvi gli auguri per le feste, non posso, perchè è così che si fa per le persone vicine e per le persone che in qualche modo ti hanno dimostrato affetto, vicinanza e amore. Lo avete dimostrato a me e alla mia famiglia nel modo più bello possibile… lo avete dimostrato oggi attraverso i vostri bambini. In ogni bambino che durante la recita di fine anno ha preso per mano Matteo, ho rivisto voi e gli insegnamenti che gli avete dato. In ogni bambino che pazientemente oggi è rimasto vicino a Matteo, anche quando i suoi comportamenti non erano giusti o addirittura potevano dar fastidio, ho visto voi e la vostra saggezza nel crescere bambini con una mentalità aperta alla diversità, bambini che crescono con il concetto che “nessuno resta indietro!”.
Quindi caro mamma e papà, vi auguro di cuore tanti Auguri! E che quelle mani che stringevano le mani di mio figlio, vi restituiscano i frutti migliori dei fantastici doni che oggi state seminando.
Papà Luca

Volteggiando

Qualche tempo fa parlando di Matteo ci dissero che era bene facesse delle attività che lo stimolassero. E bene qualche tempo fa mio figlio ha iniziato ad andare a cavallo. Ora, per un normo-bambino andare a cavallo a 8 anni già è di per se un’attività niente male, se parliamo poi di un bambino che ha come super poteri l’autismo la cosa si fa diversa. Tutto questo però ha iniziato a prendere una piega strana quando Matteo ha iniziato a prendere lezioni di volteggio!

Il volteggio per chi non lo sapesse è una disciplina equestre che richiede di eseguire figure su un cavallo che va al passo o al galoppo a tempo di musica. La musica! Quella per cui Matteo anche se a basso volume, mette le mani alle orecchie! Figure su un cavallo? Ma Matteo a volte ha difficoltà a mettersi le scarpe???

Domenica, ore 16:00 “Matteo Ortolani” viene annunciato dagli altoparlanti e sta per entrare in pista in una gara ufficiale di volteggio. Ha 8 anni e un sorriso di quelli che illuminano, ed io in quel momento ho dato via un po di lacrime, quelle che mi tengo strette nei momenti difficili. Mio figlio ha volteggiato! Ha fatto le figure “obbligatorie” e per me era come volasse su quel cavallo!

Abbiamo solo un limite, noi stessi e quello che cercano di imporci… combatto continuamente contro i limiti che l’autismo vuole farmi credere abbia mio figlio. E’ ora di non ascoltarlo più!

Ho visto una festa!

Ho visto… cose che voi normo-famiglie “forse” non potete capire.

Ho visto… la festa di compleanno di mio figlio! Mio figlio ha avuto la sua prima festa di compleanno! Mio figlio ha compiuto 7 anni! E voi normo-famiglie “forse” non potete capire la gioia nel vedere il proprio figlio che finalmente è consapevole che quella è la sua festa, che quelle persone sono lì per lui, che la canzoncina che cantavano era proprio per lui!

Ho visto… una festa iniziare tardi rispetto all’ora comunicata. Non arrivava nessuno. Forse per voi è normale, ma ho visto una mamma e un papà, noi, terrorizzati all’idea che in quella festa non venisse nessuno. Voi normo-famiglie “forse” non potete capire che significa avere il terrore costante dell’emarginazione. Avere costantemente paura che vostro figlio venga isolato, ancora più dagli altri rispetto a quanto già fa il maledetto autismo.

Ho visto… in una festa una esplosione di gioia, la nostra, quella di Matteo, dei suoi amici. Sì, amici! Quale magia ha portato quelle persone nella vita di nostro figlio? Io le ho osservate, con il pregiudizio, io… si! io ho avuto pregiudizio. Ho scrutato i vostri gesti, le vostre parole, alla ricerca di cattiveria, perchè dovevo difendere mio figlio da voi normo-famiglie che “forse” non potete capire! E forse non ho osservato bene, o forse avete finto bene! Perchè sembrava altrimenti come si spiega quel che ho visto?

Ho visto… durante la festa, normo-bambini preoccuparsi per mio figlio! Prendergli la mano, aiutarlo a salire sul gonfiabile, accompagnarlo. Ho visto mio figlio bambino tra bambini!

Ho visto… e rivisto per decine di volte un video di 27 secondi! Tanto il tempo che occorre a cantare “tanti auguri a te”. In quel video ho visto un bambino, mio figlio, che per la prima volta ascoltava un gruppo di bambini cantare la canzoncina per lui, e godeva e sorrideva e ha spento le candeline subito dopo senza esitare, l’ho visto per la prima volta dopo 7 anni.

Ho visto… in una semplice festa di compleanno la possibilità che questo mondo possa cambiare e finalmente stringersi intorno a tante altre torte che troppo spesso portano candeline che nessuno spegnerà.

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Pomezia Diamonds Majorettes

Quando mia figlia qualche tempo fa è venuta tutta contenta a dirmi che si era segnata ad un corso di majorette non ero proprio uno dei papà più felici del mondo. L’immagine di mia figlia che tipo una cheerleader di quelle americane sculettava sorridente gridando datemi una “P” datemi una “O”…. “POMEZIA” già si era impossessata di me!14713639_634465266735022_7890125663411914058_n

Dopo qualche tempo però ho iniziato a notare una cosa: mia figlia aveva sviluppato una determinazione ed una volontà per questo “sport” che prima, nelle altre attività, non aveva mai avuto. Danza, nuoto, cavallo erano tutte attività che in qualche modo l’avevano entusiasmata, ma quello che succedeva adesso era qualcosa di diverso.

“Il bastone”, così si chiama l’asta metallica fatta roteare dalle majorette, era diventato qualcosa che da lì in poi avrebbe accompagnato le sue serate davanti al televisore. E così: roteare, lanciare, riprendere, marciare, fare acrobazie erano diventate il suo quotidiano. E’ stato in quel momento che ho iniziato a capire che essere majorette trascinava con se dei lati del tutto inaspettati.

Giovedì 2 giugno 2016 partiamo per Lignano Sabbiedoro dove le ragazze del Pomezia Diamonds, tra cui la mia Elisa nella categoria Minor, partecipa ai campionati Italiani.

Non so descrivere le emozioni che hanno accompagnato i 4 giorni passati insieme a queste ragazze ma ora so di essere un papà felice che sua figlia abbia scelto di essere una “diamantina”.

Descrivere la continua ricerca dell’eleganza, nonostante lo sforzo fisico, il sorriso, nonostante la concentrazione, è una cosa impossibile con le parole. E poi osservare le ragazze strette e vicine nei momenti felici, ma ancora più vicine nei momenti tristi, fa capire qual’è il vero senso del gioco di squadra.

Il bello sta proprio nel vedere queste eleganti ragazze, cimentarsi in esercizi difficilissimi e vederle continuare, anche se si sbaglia, anche se in quel momento un ago conficcato nella mano che ha fatto scivolare il bastone a terra, avrebbe fatto meno male del dolore che si prova dentro. Perchè quell’esercizio sono sicuro che l’hanno provato per ore ed ore davanti alla tv proprio come fa Elisa. E poi il bastone, che ci si mette pure lui a cadere lontano, ed a farsi rincorrere!

Eppure il sorriso è sempre la, delle volte va via per pochi secondi, appena necessari a concentrarsi per un passaggio difficile, a cercare in tutti i modi di non sbagliare, ma poi torna e diventa più raggiante quando quel bastone lanciato in aria torna sicuro nella propria mano.

Giovedì 2 giugno 2016, abbiamo fatto 700 km per ritrovarsi ad applaudire anche l’avversario, già perchè questo dovrebbe essere l’atteggiamento di ogni sport. In questo sport, si applaude forte quando il bastone in aria viene preso al volo, ma si applaude ancora più forte quando cade a terra e non importa il colore della divisa…. o quasi!

Una difficile consapevolezza

Mercoledì 2 Luglio 2014, compleanno di mio figlio Matteo. Beh, direte voi, un giorno importante ma sicuramente un compleanno come tanti: Festa di bambini, regali, musica, candeline. Quel giorno invece è stato probabilmente uno dei giorni più brutti della mia vita.

Quel giorno, di colpo, inaspettatamente, mi è stato consegnato un altro bambino… un altro… così.logo_waad_w150

Martedì 1 Luglio 2014, il giorno prima. Abbiamo appuntamento all’ospedale Bambin Gesù per una visita di controllo. La pediatra dice che è un po strano che Matteo abbia quasi 3 anni e ancora non parla e ha così poco coordinamento motorio, insomma, meglio farlo vedere. Doriana è preoccupata, ma io, con il mio solito ottimismo, le dico che andiamo a perdere tempo che Matteo è solo un bambino che ha bisogno di più tempo e che tutto si aggiusterà.

Entriamo nell’ospedale, reparto neuropsichiatria infantile. Siamo in sala d’attesa e noto da subito la presenza di altri bambini in effetti un po strani. Fino a quel momento avevo sempre sostenuto ed ero vicino al mondo della disabilità, in quel preciso istante invece il mio sentimento era di totale allontanamento, ero infastidito da loro. Noi con quei bambini non centravamo niente. Non è lì che dovevamo stare.

Siamo in attesa, da ore, Matteo non si tiene più, è stanco ma agitato, l’ambiente dell’ospedale non è certo accogliente e per di più si ritrova mamma e papà più nervosi di lui. Ci chiamano dopo ore di attesa.

Le visite, durano poche ore, ma sono estese su due giorni nei quali abbiamo perlopiù aspettato seduti. Quei brevi esami sono stati qualcosa di indicibile. Non eravamo pronti, nessuno ci aveva spiegato. Al tuo bambino, al pari di una cavia vengono fatti fare dei giochi con forme, colori, numeri, ma il tutto con assoluta freddezza e pochissimo tempo a disposizione.

Un bambino di 3 anni, che per ore ha aspettato seduto, che si trova in un ambiente ostico quale quello di un ospedale, d’improvviso deve impilare forme, appaiare colori e riconoscere immagini. L’istinto di alzarsi e portarlo via è scattato più di una volta. Il fatto è, che negli occhi della dottoressa che lo esamina, si legge qualcosa, ma forse mi sbaglio, forse anche lei è stanca.

Secondo giorno. Dopo le “visite” veniamo chiamati in una stanza. C’è un altro dottore, forse il primario, sembra che lui è quello che sa. Inizia a fare tutto un discorso e più volte ci chiede “ma voi come vi sentite? Siete preoccupati?”. Certo che non sono preoccupato, ma cosa stai dicendo? Matteo è un bambino normale penso io. Poi, dopo il giro di parole, arriva alla sua sentenza: “Il bambino ha in effetti un disturbo dello spettro autistico”.

Dottore, ascolti…” e finalmente mi sfogo, e spiego al dottorino che probabilmente il loro metodo non funziona bene… che non è possibile stressare genitori e bambini tutte quelle ore… che non può in poche ore capire che il mio bambino non è il mio bambino… ma un altro… un altro bambino.

Il dottore, con la calma e la pazienza di chi ha già ascoltato quelle polemiche, di chi sapeva già cosa avrei detto, di chi semplicemente fa il suo lavoro, mi dice che sì, è vero, qualche volta può sbagliarsi, ma statisticamente solo nel 3% dei casi.

Siamo in macchina, di ritorno, Matteo dorme, noi siamo in silenzio. Rompo io il silenzio. Il fatto è che lì, in quel momento, ancora pensavo a quel 3%. E’ poco il 3%, non ci metteresti sopra un euro, ma in quel momento era tutto quello che avevo.

Vedrai...” dico a Doriana, “… torneremo tutti e tre, tra qualche anno, da questo imbecille e indosseremo una bella maglia con sopra scritto “noi siamo il 3%!!!””.video_autismo_conoscere_comprendere

Mercoledì 2 Luglio 2014 compleanno di mio figlio Matteo. Quel giorno non è cambiato solo Matteo, d’improvviso noi stessi abbiamo iniziato a trasformarci, e solo ora so che ci saremmo trasformarci in delle perfette macchine da guerra.

Matteo è nervosissimo, troppa gente a casa nostra. La festa, la musica. Inizia a tapparsi le orecchie, inizia a piangere, ad urlare. Chiedo all’animazione di spegnere la musica, mi guardano come a dire se ero impazzito. Anche senza musica, mentre tutti gli altri bambini si divertono, urlano e giocano, Matteo piange. Lo prendo e lo porto via, fuori in strada, diventa ancora più nervoso, vuole tornare a casa sua. Non so che fare… non so come comportarmi… non conosco mio figlio… è un altro.

Si affaccia sulla strada mio padre, mi chiede di entrare che c’è la torta, le candeline da spegnere. Non so se spegnerà quelle maledette candeline, ma almeno finisce sta festa di merda e tutti se ne vanno a casa propria e il mio bambino si calmerà.

L’autismo è così: è musica assordante; è colori accecanti, odori nauseabondi, forme spaventose e altre cose che forse nemmeno possiamo immaginare. Solo questo avevo capito i primi giorni andando a documentarmi.

Quello che non avevo ben capito invece, è che i bambini autistici, sono bambini! sono emozioni, amore, affetto, sono qualcun altro sì, ma come qualsiasi altro bambino. “Hanno” un disturbo e non “sono” il disturbo.

Non “sono” disabili ma “hanno” una disabilità. Imparate questo, vi prego.

2 Aprile 2016, Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo. Ieri sera quando sono tornato a casa da lavoro, Matteo mi ha salutato sorridendomi. Vi chiedete qual’è la notizia? È semplice, ma sorprendente, meravigliosa e immensa… la notizia è che mi ha salutato sorridendomi.

Macchine da guerra, questo ora siamo io e mia moglie. Ma abbiamo con noi un esercito. La prima è Elisa, nostra figlia, prima terapista di Matteo. Nessuno gliel’ha chiesto, nessuno le ha spiegato cos’è l’autismo, in realtà nessuno le ha nemmeno mai detto che suo fratello HA un disturbo. Eppure, Elisa, fa tutte quelle cose che io e Doriana abbiamo dovuto imparare nei corsi di Parental Training. Guarda noi e lo rifà, ma meglio di noi, con l’innocenza e la semplicità dei bambini. Matteo è fortunato.

12801284_1661964267387330_4236690098659211736_nPoi nel nostro esercito, ci sono loro, i nostri angeli, le NOSTRE terapiste. Loro sanno cosa significa fare di un lavoro una passione. Oggi voglio abbracciarle tutte.

Macchine da guerra siamo. Un esercito. Probabilmente un giorno compreremo una divisa, una bella maglietta con scritto “Noi siamo il 97%” ma siamo qui, ora. Combattiamo una guerra non solo contro un “disturbo” ma anche contro una festa di compleanno che abbiamo intorno, dove c’è musica assordante, gente che non capisce, ma soprattutto gente a cui non importa niente di capire. Combattiamo anche contro di loro.

L’autismo non è contagioso! se mai lo può essere la gioia di Matteo. Strano no? Con tutti i problemi che ha, direste voi! E’ un bambino gioioso? Forse no, non è strano. Forse tutto l’amore e le attenzioni che ha addosso… come potrebbe essere triste.

Consapevolezza dell’autismo… difficile… anzi quasi impossibile se non ti avvicini, se non fai parte di questo mondo. La consapevolezza non deve fermarsi alle difficoltà degli autistici, ma deve spingersi a tutta la famiglia che gli è vicina, solo così aiuterete il nostro esercito a vincere questa guerra.

100 metri al giorno

Come molti altri papà, tutte le mattine alle 7:50 accompagno mia figlia Elisa a scuola. Elisa oggi fa la 2 elementare e quel passaggio da casa a scuola è probabilmente il momento più bello della mia giornata.

Si sa, la mattina generalmente ognuno di noi ha uno spirito diverso, più energico, fresco, con la prospettiva di un giorno che sta per iniziare e con l’animo ancora libero dai problemi che durante il giorno dovremo affrontare. Non lo so, forse sarà proprio grazie a questo spirito, ma di fatto in quei 10 minuti di tragitto tra casa e scuola, io ed Elisa riusciamo a parlare di qualsiasi cosa con grande condivisione e complicità.
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Poi alle 8:00 arriviamo a scuola e ogni mattina, pur potendo lasciare l’auto vicinissima all’entrata, preferisco sempre parcheggiarla almeno ad un centinaio di metri di distanza. Vi sembrerà stupido, ma quei 100 metri, fatti a piedi tutte le sante mattine mano nella mano con mia figlia, cadenzano il ritmo della mia giornata, la rallentano.

Elisa non mi ha mai detto niente del fatto che parcheggio così lontano, non credo di illudermi nel pensare che anche lei ama quel momento, che anche lei ama quello spazio che ci concediamo.

E capita, certo, che qualche mattina siamo in ritardo, o che ho i minuti contati per via di qualche appuntamento di lavoro, ma puntualmente non mi faccio mai mancare i nostri 100 metri. Quello è uno spazio nostro, insostituibile. E mi piace guardare certe volte genitori correre, affannarsi, perché sono le 8 e 5 minuti e noi invece lì, tranquilli che camminiamo.

In quei 3 o 4 minuti a piedi, rivivo ricordi di tempi in cui tutto era meno frenetico, in cui si poteva andare a scuola a piedi e da soli! In cui si parlava a voce e non a tasti, in cui il martedì dovevo attraversare a piedi pure il mercato prima di arrivare a scuola. Ma soprattutto in quei 3 o 4 minuti stampo momenti indelebili nei nostri ricordi.

Poi arrivati a scuola saluto la mia bambina e in quel preciso istante tutto torna veloce, accelera… ed è proprio in quel momento che quello spirito leggero, quell’animo fresco e mattutino realizza che da li a poco inizierà a fare i conti con una realtà ben diversa.

La felicità

Festa di bambini… il gioco della pignatta… qualche colpo e si rompe e tutti a correre per raccattare caramelle e sorprese varie. Il primo bambino che si allontana ha le mani piene di caramelle, qualche minuto prima era lì che sgomitava e prepotentemente arraffava a destra e a manca. Subito dopo vedo una bambina che piange, ha in mano due caramelle e quando le chiedo perchè piange, mi risponde che gli altri bambini le hanno rubato le caramelle e gliene sono rimaste solo due. Tutti i bambini ormai se ne sono andati, solo una bambina ancora cerca in mezzo ai coriandoli e ai pezzi della pignatta. Ad un certo punto trova qualcosa, la guarda ed esulta con gioia: “una caramella!!! sono proprio fortunata!”.

La felicità è sapersi accontentare… approposito… quella bambina era mia figlia.

Luce agli occhi

Il mio occhio sinistro ha deciso ancora una volta di spegnersi… perchè? Corioretinopatia Sierosa Centrale così si chiama, per gli amici CSC, beh così la chiama il mio oculista, ed è lui che la prima volta mi ha detto “Avrai delle recidive… insomma… purtroppo tornerai a non vedere bene e… sarà sempre peggio.”

E da allora io la…. beh “quella”… io non la chiamo più. Ho sempre paura che lei torni e che mi copra gli occhi e mi tolga la luce, come sta facendo adesso.

La prima volta che sono stato nello studio dell’oculista, fu alquanto buffo. Lui mi fa le solite domande di rito e tra queste l’età e quando gli dico “ho 38 anni e da un po di giorni non vedo tanto bene”, ricordo che mi ha guardato con sufficienza, insomma mi ha dato la sensazione che mi stesse per rispondere “è l’età… prima o poi tocca a tutti”. Poi però, il dottore, mi ha voluto vedere con uno strumento particolare, ed in un preciso momento, ovvero, in quell’attimo esatto in cui ha capito cosa avevo, ha stranamente cambiato atteggiamento.

Avete presente quando vi trovate di fronte un disperato e insomma, vi viene la voglia di aiutarlo e soprattutto di chiedergli: “ma come hai fatto a ridurti così?” Ecco, lui mi ha guardato con gli occhi “compassionevoli” ed ha iniziato a dirmi “ma che ti è successo?… che fai nella vita?”.

Vi sembrerà strano certo, penserete “che centrano gli occhi?” Beh la ….. insomma avete capito “quella”… è una patologia che prende solo ad un certo tipo di persone, quelle che vivono per ogni attimo della propria vita mille pensieri, quelle iperattive, quelle che non trascurano, quelle che non tralasciano, quelle competitive, quelle che devono pur se temono, pure se hanno paura… proprio come adesso.

Sono chiamate persone di tipo A, mi piacerebbe capire poi perché “A” e non “F” o “M”. Io sono una persona di tipo “A” e quindi ho vinto sta cosa. Cosa ho risposto al dottore? Beh, semplicemente quello che era accaduto nell’ultima settimana della mia vita… “E’ morto un mio operaio, sul lavoro, ho una pendenza per omicidio colposo e così tanto per controbilanciare lavoro e casa, mia moglie ha abortito alla 30esima settimana una bambina a cui già avevo dato un nome… è da quel giorno che ci vedo male…”.

Il dottore non ha risposto, non subito, beh forse era effettivamente sufficiente per definirmi una persona di tipo “A”.

E così, pare assurdo, ma questa fantastica patologia, proprio quando ti trovi in difficoltà e vivi momenti difficili della tua vita, ti oscura gli occhi, ti toglie la luce… che li per li sembra una difesa del corpo, un modo per non vedere il brutto che ti circonda, ma in realtà è solo un altro bel masso che si va ad aggiungere sulla tua schiena.

Ora, da ottimista, volendo vedere (si fa per dire), i lati positivi della cosa… ogni volta e dico ogni volta che i miei occhi perdono luce… ah già! perchè non ve l’ho detto… il dottore mi ha ben spiegato che: “vedrà dopo 20 o 30 giorni la cosa si dovrebbe riassorbire, questo finchè arriverà un giorno in cui… non si assorbirà più…”, ecco, io sono alla 4° volta sull’occhio sinistro e alla 2° sul destro… dicevo, ogni volta quindi che mi succede di perdere la luce, accade che inizio a vedere le cose in modo diverso, o meglio inizio a vedere le cose con gli occhi di chi potrebbe non vederle più come prima. E allora piano piano cerco di cambiare, insomma cerco di diventare almeno una persona di tipo “B” o “C”. In che modo? rallentando!

Spesso mi sono chiesto: “Ma perché devo vivere in questo modo? Perchè non riesco a lasciarmi un po andare? ad allentare la presa? senza voler sempre essere lì in prima fila, lì in testa a tutti, lì nel punto più alto?”

Beh in poche, anzi pochissime parole, perchè ce ne vorrebbero veramente troppe per spiegarmi… credo che qualcuno mi ha fatto così! Qualcuno mi ha voluto così… mi ha cresciuto così… mi ha insegnato così… ed ora, io, semplicemente, esigo da me stesso di essere così. Perchè la mia testa mi dice che non essere così significherebbe non essere.

Forse un giorno ai miei occhi resterà poca luce… spero che quel giorno ne abbiano giusto quella che mi servirà per continuare a vedere il bello, e perchè no anche il brutto di questa fantastica vita.