Rinato il 17.05.2023

In primo piano

Avete presente quando hai una vita routinaria, dove tutti i giorni bene o male fai le stesse cose? Dove ogni tanto capita qualcosa di buono e ogni tanto magari capita qualche ostacolo o problema da superare? Ecco, in questi giorni e notti che si rincorrono spesso senza che noi ce ne accorgiamo, ogni tanto, di colpo, cade un quadro! (Cit.Baricco) qualcosa che cambia tutto.

Era dicembre scorso, quando inizio ad avere una strana sensazione ai denti dalla parte destra, come quando mangi la ciccia e ti resta qualcosa incastrato. Passo giorni a cercar di capire, scrutandomi la bocca ma nulla. Poi accade qualcosa di ancora più strano: inizia gradualmente a mancarmi la sensibilità sul volto sempre dal lato destro… ecco ora mi preoccupo.

Il caso vuole che abbiamo in famiglia un caro amico medico che mi rasserena: “potresti avere il nervo trigemino infiammato… niente di che ma è meglio fare una risonanza”. Ed è proprio con la risonanza che scopro che c’è qualcosa che non va… ho troppo cervello, o meglio un pezzetto in più… cade il quadro!

Il caso vuole che a Genzano, il mio paese, periodicamente, da Ancona, in un centro medico locale viene a visitare il Prof. Iacoangeli. Ad Ancona dove lavora è un primario dell’ospedale. Io non lo avevo mai sentito nominare. Il cognome di certo è Genzanese, ed infatti scopro che è proprio originario di Genzano. E’ lui ad interpretare la mia risonanza e lo fa con una familiare e quasi impercettibile inflessione Genzanese. La sua è una ricostruzione dettagliata di come stanno le cose.

“Neurinoma dell’acustico!…”, sentenzia il Professore, “…un tumore benigno” dice. La parola benigno, vicino alla parola tumore, in quel momento mi spiazza, non capisco. “E’ un tumore che va assolutamente tolto”, continua, “…perchè cresce pian piano e pian piano premendo su diversi nervi e sul cervelletto crea diversi problemi via via sempe più invalidanti…” ecco, ora ho capito ed ho il panico.

Il caso vuole, che a me in 50 anni di vita non mi è mai capitato niente che riguardasse la salute!!! sono stato fortunato lo so! mai un punto di sutura, mai un gesso, mai una carie, mai un intervento, va beh… non so se un unghia incarnita fa punteggio, ma qui ora si parlava di un intervento delicato in testa! Proprio a me che mi giro dall’altra parte quando mi tolgono il sangue.

Ma il vero problema era un altro: Io non posso morire! non me lo posso permettere: ho un figlio che combatte contro l’autismo ed insieme dobbiamo raggiungere l’infinito ed oltre; ho una figlia di cui vado infinitamente fiero e vorrei osservarla crescere; ho ancora tanti aperitivi da prendere con la donna che amo; ho un’azienda che è come una famiglia e la devo portare avanti ma il quadro è caduto, ed ha fatto un bel botto.

Il Professore conclude che bisogna operare, anche se non c’è fretta perchè: “hai ancora sintomi lievi”. Ovvero, per la cronaca in quel momento: non mi sentivo metà faccia; non sentivo sapori ma solo a destra, ed il mio acufene era impazzito. La diagnosi era certa, dovevo solo capire a chi affidarmi. Qualcuno mi dice, “perchè proprio lui? prova a sentire altri, ci sono diversi esperti in Italia per i neurinomi.”

Il fatto è che il Professore univa ad una evidente (e poi ho scoperto riconosciuta) competenza, un lato umano che era raro per certi luminari come lui e poi come me, anche lui aveva mangiato lo stesso pane casareccio, quello del mio paese, e come me anche lui conosceva il profumo dell’infiorata appena realizzata. Poi, insomma, perchè il caso aveva voluto che uno specialista conosciuto a livello nazionale come lui, si trovasse proprio a Genzano? non c’è dubbio, doveva essere lui ad operarmi.

Il caso vuole che proprio in quei giorni, pieni di dubbi e di famiglia che ti sta intorno e ti sostiene facendo finta di non aver paura, un importante fornitore della nostra azienda mi invita da li a due mesi ad un evento, di quelli imperdibili che si organizzano per fidelizzare i migliori clienti: una crociera su di un veliero storico nel mar baltico!

Ho altro da pensare, lo so, ma accetto subito l’invito e mi fisso il primo obiettivo: farò questo maledetto intervento, mi riprenderò ed andrò a quella crociera e poi me la godrò perché sarà tutto passato.

Naturalmente il mio è un buttare il cuore oltre l’ostacolo e pensare che tutto andrà bene e che quei dati statistici sciorinati dal Professore e che contemplano il peggio, non centrano niente con me… “io non posso morire… hai capito lassù??? oppure se hai deciso così, pensaci tu a mio figlio! ricomponi tu quel che resterà del cuore di Debora, della mia famiglia e di tutti quelli che soffriranno la mia mancanza”.

Viene fissata una data per l’intervento. Un caro amico mi dice di non pensare con la testa ma solo col cuore, perché il suo di cuore gli dice che andrà tutto bene e me lo viene a dire di persona, addirittura raggiungendomi a casa e facendomi capire per la prima volta quanta fede ha. Mi abbraccia come si fa con un fratello che parte… grazie Franco.

In momenti e luoghi diversi, arrivano altre persone, diverse persone, ed ognuno mi lascia qualcosa, un abbraccio, un rosario, una croce ed altri oggetti religiosi a cui sono affezionati e con grande fede e calore, ognuno mi dice che pregherà per me e che gli restituirò quell’oggetto quando tornerò.

Addirittura il caso vuole che Debora ha una sua collaboratrice molto religiosa che le dice che chiederà a delle suore di un convento di clausura che lei conosce, di pregare per me… “un gruppo di suore!?!” scherzando le dico “che potenza di fuoco!!!”.

Sono molto spiazzato e confuso da tanto affetto ma soprattutto da questa atmosfera religiosa che mi circonda. Dopo la diagnosi di autismo di Matteo avevo messo la mia fede da parte, perché, insomma, ero un tantino incazzato con chi avesse mai potuto decidere una croce così grande per mio figlio. Ora ho la sensazione come di un messaggio che voglia per forza arrivarmi, prepotentemente. Qualcuno penserà che sarà stata la disperazione ma decido di ascoltare il mio cuore e mettermi interamente nelle mani del Signore predisponendomi ad accettare qualsiasi cosa accadrà.

Sono in sala operatoria, sono pronto. Una dottoressa molto giovane mi dice “ci siamo! stiamo per addormentarti” poi inaspettatamente mi chiede “Hai dei figli?” le rispondo con un sorriso: “sì, Elisa che ha 15 anni e Matteo che ne ha 12” poi mi addormento e l’ultima cosa che ricordo di quel momento, è il forte desiderio di riaprire presto gli occhi e rivederli.

Nel mio peregrinare su Internet alla ricerca di informazioni, tra le altre avevo letto che l’intervento sarebbe durato tra le 6 e le 8 ore ma era un dato molto variabile. Insomma la particolarità del mio problema è che fintantoché non si entra nella testa, non si può capire come andrà l’intervento e soprattutto quali conseguenze post-operatorie ci saranno: dalla perdita dell’udito, ad una paresi facciale temporanea ma anche definitiva, fino a problemi di equilibrio e altre piccole cose.

13 ore di intervento! Sono 13 le ore che la mia famiglia ha dovuto attendere fuori dall’ospedale senza avere notizie di me. 13 ore nelle mani di una equipe medica multidisciplinare che a turno e con gli occhi fissi su di un microscopio, ha staccato molecola dopo molecola un ciccetto di 3 cm dall’interno della mia testa.

Apro gli occhi. Capisco di essere in terapia intensiva. Non sento il mio corpo, nessun dolore. Sento solo la voce di un dottore molto giovane, forse uno specializzando che mi dice: “E’ andato tutto bene! L’intervento è durato molto, ma potrai ancora sentire e vedrai che non avrai problemi con la faccia. Domani ti portiamo a reparto”. Respiro di gioia, ma sono molto stanco. Chiudo gli occhi.

Apro gli occhi. E’ passato un giorno. Mi dicono che sto per andare a reparto. Un infermiere avvicina alla mia mano il mio cellulare, quello dove ho migliaia di foto della mia famiglia, dei miei figli, di Debora, della mia vita… per me è come se mi dicesse ora puoi continuare a scattare altre foto.

Con tutto il letto, mi portano attraverso corridoi, poi un ascensore, ancora corridoi, poi svoltano da una parte e si fermano e sul lato del letto, mi ritrovo inaspettatamente due donne stanchissime, è un’infinità di tempo che aspettano, sono state molte ore ma per loro è come fossero passati 100 giorni. Hanno negli occhi lacrime ed una felicità nel rivedermi che solo chi ti ama come loro può avere: Debora il mio amore e mia sorella Cristina.

Arrivo in reparto, scopro che ho un compagno di stanza. Si chiama Sergio ed è qui per un infarto. Anche lui ha il suo quadro che è caduto. Sono ancora stanchissimo e frastornato ma nonostante l’udito mancante da un lato, la paresi facciale e la mia bocca storta, inizio a parlare con Sergio e non mi fermo più. Ho voglia di raccontare, ho voglia di vivere. Sono come un bambino appena nato che urla e brama la vita che lo attende.

I primi giorni sono duri, ma non vi voglio raccontare ancora dettagli medici. Per distrarmi, parlo ore ed ore con Sergio e gli racconto che ci sono persone la fuori che mi attendono, tante persone che hanno pregato per me e che ora voglio ringraziare. Vorrei abbracciarle una ad una, pure le suore di clausura mi abbraccerei se potessi. Poi c’è Elisa, Matteo, la mia famiglia, la mia azienda e poi gli racconto che nel nord della Germania tra poco meno di 30 giorni c’è anche un veliero che mi attende, ed io voglio esserci con tutte le mie forze.

Sono passati 9 giorni dall’operazione, ed il Professore Otorino, non quindi il mio Professore paesano ma comunque uno di quelli che ha composto l’equipe medica, scontento della mia paresi e del fatto che ho perso l’udito dalla parte destra, mi dice che l’operazione è stata qualcosa di eccezionale a livello mondiale, tutto è andato bene, è ora di dimettermi!

Sono talmente felice che quasi non mi importa dell’udito perso e della mia paresi. Ho mezza bocca storta, mezzo sorriso e così mi dico: “beh sorriderò due volte!” e l’udito perso dalla parte destra, sarà utile per metterci chi non mi va di ascoltare. Mi riecheggiano le parole di Alex Zanardi quando a conoscenza della perdita delle sue gambe, ha detto qualcosa tipo: “non mi sono concentrato su quello che avevo perso ma su quello di me che era rimasto” il confronto tra la sua grandezza e me è lontano ma le sue parole mi aiutano.

Torno a casa nelle braccia della mia famiglia, in un abbraccio che in realtà nei giorni addietro non ho mai sentito togliere dai miei finachi e dal mio cuore. Torno da Matteo ed Elisa! E’ ora di riprendersi! Dopo pochi giorni, un po contro tutti, decido di tornare anche a lavoro, seppur per poche ore al giorno…. c’è un veliero che mi attende!

Oggi è il 25 giugno, è passato più di un mese dall’intervento. Sono qui, seduto nel gate dell’aeroporto di Amburgo, in attesa di prendere il volo di ritorno per Roma e tornare a casa. Sono qui perché sono di ritorno da un’esperienza bellissima, da poco sceso da quel veliero che tanto ho desiderato. Ma sono qui a raccontarvi anche di altro.

Il veliero era spettacolare e così il contesto e l’atmosfera. A bordo eravamo circa 100 persone tra Tedeschi che erano la maggior parte, Austriaci ed infine Italiani la minoranza, forse in tutto una quindicina di persone. L’ambiente era molto ma molto festaiolo e decine e decine di birre, scorrevano tra le mani dei nostri amici nordici che quindi erano sempre più allegri.

Il caso vuole che ancora non completamente ripresto nelle forze, decido con Debora di mettermi in un punto del veliero dove ci sono poche persone e la musica è più bassa e li conosciamo una coppia di Italiani che come noi volevano stare tranquilli.

Il caso vuole che nasce immediatamente ed inaspettatamente una intesa incredibile io con lui e Debora con lei. E’ come se ci conoscessimo da sempre ed in tante ore di navigazione iniziamo a raccontarci le nostre vite ad un livello che è di ben oltre rispetto a quello che di solito si condivide con degli sconosciuti. Ad un certo punto quest’uomo, oramai mio compagno di viaggio, mi racconta dei suoi figli. Ne ha tre.

Tra le sue parole percepisco un grande amore, ed uno ad uno mi parla di loro, fino ad arrivare alla più grande e mi dice: “…lei è una suora di clausura!” poi continua “…Io non sono religioso e quindi…. capisci… questa scelta…. insomma, perché così giovani restare chiusi in un convento a pregare invece di fare cose concrete per chi ha bisogno?”. Rimango scioccato. Penso ok, è una suora di clausura ma mica può essere la stessa di quelle che hanno pregato per me?

Mi trovo a migliaia di km da casa, nel mar baltico, su di un veliero, circondato da amici tedeschi e austriaci ubriachi, come può essere che questa persona che conosco da poche ore, mi stia raccontando questa storia?

Debora allora subito gli chiede dettagli sul convento e stupiti noi e stupiti loro, scopriamo che è proprio quello, lo stesso convento in cui un gruppo di suore ha pregato per me. A quel punto racconto a miei nuovi amici tutta la mia storia, quella che ho appena raccontato a voi.

Sento di dover rispondere a quell’uomo e così faccio: “Senti, io come te ho tantissimi dubbi. Magari è vero, tua figlia potrebbe impegnare la sua vita in azioni concrete invece di essere chiusa in un convento… o magari io sono qui oggi anche grazie alle sue preghiere… non lo so…. non so dirti… ti chiedo soltanto una cosa, quando la rivedrai abbracciala e ringraziala da parte mia.”

Di tutta questa esperienza, porto con me tantissime cose ma tra le prime, il calore e le preghiere di tantissime persone, alcune da sempre vicine, altre inaspettate, alcune addirittura sconosciute. Ho tanto da restituire ed una nuova vita per farlo.

Chiamano al gate, torno a casa. Il primo obiettivo è stato raggiunto!!!

Rinato il 17.05.2023

Il Cinema

La nostra vita è composta di fasi, di momenti precisi che scandiscono perfettamente il tempo che passa. I figli, per chi li ha, sono una scure che taglia perfettamente il nostro percorso: la loro nascita, il primo dentino, il primo amore sono solo alcuni dei passaggi obbligati che nel bene o nel male segnano la nostra vita con grandi o piccole emozioni. A me ieri è toccata una grande emozione quando Elisa ha affrontato davanti tutti i suoi professori il suo esame di terza media!

Non vorrei raccontarvi che parliamo di questo esame da 2 anni, non vorrei ma non posso. Il livello di ansia di mia figlia è ereditario e purtroppo da entrambe le parti! Sono due anni che pensa a quale sarebbe stato l’argomento degli esami e dopo due anni, quest’anno finalmente ha deciso che l’argomento sarebbe stato “Il Cinema”.

Bene, dico io, lo trovo originale e permette facilmente di agganciarsi a tutte le materie. E così per Tecnologia decide di parlare della “Macchina da presa”; per storia della “Belle Epoque e dei Fratelli Lumiere”; per Inglese racconta in lingua la trama di “The terminal” interpretato da Tom Hanks uno dei suoi attori preferiti e così via per le altre materie.

“Ed Italiano?” Le chiedo io. “Papà, per Italiano ho deciso di parlare di Alessandro Baricco e di Novecento”. Ora pochi sanno perché a questa risposta mi sono emozionato, perché solo chi mi conosce sa che ho portato in scena a teatro decine di volte il monologo di Novecento di Baricco e pochi sanno quanto io sia particolarmente attaccato a questo monologo. Il piacere poi è aumentato quando mi ha detto “…peccato che la prof. di Italiano non sia tanto d’accordo perché vorrebbe io portassi qualche autore classico, ma ho insistito e porterò Novecento.”

Arriva il giorno dell’esame, siamo tutti emozionati. Solo la mamma può entrare, per via del Covid, poco importa, io mi metto da fuori appoggiato alla finestra e sono praticamente a tre metri da lei. Mi avvicino quanto basta ma resto voltato quasi di spalle perché non voglio rischiare di interferire. Sta per iniziare l’esame, Elisa prima di andare alla cattedra attira la mia attenzione e mi fa un gesto portando prima le dita agli occhi e poi al collo, il messaggio era: “se piangi ti uccido!”.

Mi conosce e sa che la mia emozione è forte. Ricordate il discorso delle fasi della nostra vita? In un attimo rivedo me agli esami di terza media e poi in sequenza: lei appena nata, lei bambina e poi finalmente metto a fuoco la mia ragazza che davanti alla commissione mantiene una calma eccezionale.

La prof più vicina a lei è quella d’Italiano, quella che tutti i ragazzi temono! In effetti nelle sessioni precedenti era quella che faceva più domande fuori tema. Se Elisa teme qualcosa agli esami è senz’altro lei, la professoressa di Italiano.

Inizia l’esame. Elisa con grande calma apre una cartellina che porta con se e chiede ai professori se può consegnargli un biglietto. Ed i professori restano subito colpiti dal biglietto che in pratica è la riproduzione di un biglietto del cinema, un biglietto dello spettacolo che anche loro insieme a me stanno per vedere.

La mia fase della vita sta scorrendo davanti ai miei occhi e me ne godo ogni singolo istante. Quasi ripeto la tesina a memoria insieme ad Elisa dopo averla ascoltata da lei che la ripeteva a me e la madre per decine e decine di volte.. ricordate il discorso dell’ansia?

La presentazione, il modo di esporre, tutto fila liscio, tant’è che i professori la interrompono come a dire “ok, basta così, va benissimo”. Ma proprio la professoressa di Italiano nota qualcosa, è come se Elisa non fosse soddisfatta. E allora le chiede: “Elisa, che c’è, vuoi dire qualcos’altro?”.

Ora, se stai dando un’esame e stai andando benissimo, tant’è che ti hanno fermato, tu non puoi voler aggiungere qualcos’altro giusto? E poi scusa, proprio la prof di Italiano te lo sta chiedendo… fermati!!

Ma Elisa, era evidentemente non soddisfatta, le mancava di dire qualcosa a cui teneva in modo particolare. Bene, io fino a quel momento avevo trattenuto l’emozione. Ma quando ha risposto “Si professoressa, vorrei parlare di Novecento di Baricco” beh allora non ce l’ho fatta, istintivamente ho fatto qualche passo per allontanarmi dalla finestra perché l’emozione era troppa, poi sono tornato e mi sono gustato lo spettacolo.

Non ha aggiunto altro il fatto che Elisa mi abbia detto poco dopo che aveva fatto questa cosa per me, non ha aggiunto altro perché era un messaggio che mi era arrivato forte e preciso.

La nostra vita è composta di fasi, di momenti precisi che scandiscono perfettamente il tempo che passa. Esame di terza media di mia figlia…. fatto!

Il primo giorno di scuola

Quanti primi giorni di scuola vi ricordate? Non ho dubbi, sicuramente il vostro o quello dei vostri bambini alla prima elementare o alla prima media. La nostra vita è fatta di giorni buoni e di giorni meno buoni e poi ogni tanto di giorni speciali. Accompagnare il proprio bambino a scuola il primo giorno è di solito un insieme di emozioni contrastanti che vanno dall’ansia che tutto vada bene, alla gioia di vederlo crescere.

Quando però hai un figlio autistico tutto cambia. Ed è assurdo dovervi spiegare che tutto cambia non a causa dei disturbi dell’autismo ma di un sistema scolastico che ogni anno rende questo giorno uno dei peggiori.

E così mentre le normo-famiglie si preoccupano se le maestre saranno brave, oppure se il proprio bambino andrà d’accordo con i compagni, o se sarà bravo a scuola, noi, famiglie autistiche, il primo giorno di scuola abbiamo in testa un’unica terribile preoccupazione: Ci sarà qualcuno ad occuparsi di mio figlio?

Magari saprete che i bambini autistici, come ogni altro bambino che ha disabilità, hanno una assistente o una insegnate di sostegno, ed è vero, ma per i primi giorni di scuola spesso non così!

I primi giorni di scuola, siccome le risorse sono poche e le scuole devono arrangiarsi con quello che hanno, capita che queste risorse ancora debbano essere assegnate, capita troppo spesso che i bambini ancora non abbiano assegnata né una assistente educativa né una insegnante di sostegno!

Capita quindi che tu famiglia autistica arrivi a scuola e vieni a sapere che non ci sarà nessuno che si occuperà di tuo figlio, nessuno che lo aiuterà a trovare l’aula, ad andare in bagno, a relazionarsi con gli altri… nessuna mano sicura a cui affidare la sua mano.

E così quello che normalmente dovrebbe essere un giorno speciale, si tramuta in uno dei centinaia di giorni in cui noi famiglie autistiche combattiamo contro un sistema che non è pronto ad accoglierci.

Quest’anno Matteo farà la terza elementare, ancora non sappiamo con certezza quali e quante risorse la scuola gli assegnerà, ma sappiamo che sono già due anni che è circondato dall’affetto di una classe che lo ama… tante piccole mani sicure a cui lasceremo tranquillamente il nostro bambino… e questo ci fa ben sperare in un mondo migliore, un mondo dove… nessuno deve restare indietro!

Auguri a mamme e papà

Cara Mamma e Papà del compagno o della compagna di mio figlio Matteo, non posso quest’anno non mandarvi gli auguri per le feste, non posso, perchè è così che si fa per le persone vicine e per le persone che in qualche modo ti hanno dimostrato affetto, vicinanza e amore. Lo avete dimostrato a me e alla mia famiglia nel modo più bello possibile… lo avete dimostrato oggi attraverso i vostri bambini. In ogni bambino che durante la recita di fine anno ha preso per mano Matteo, ho rivisto voi e gli insegnamenti che gli avete dato. In ogni bambino che pazientemente oggi è rimasto vicino a Matteo, anche quando i suoi comportamenti non erano giusti o addirittura potevano dar fastidio, ho visto voi e la vostra saggezza nel crescere bambini con una mentalità aperta alla diversità, bambini che crescono con il concetto che “nessuno resta indietro!”.
Quindi caro mamma e papà, vi auguro di cuore tanti Auguri! E che quelle mani che stringevano le mani di mio figlio, vi restituiscano i frutti migliori dei fantastici doni che oggi state seminando.
Papà Luca

Volteggiando

Qualche tempo fa parlando di Matteo ci dissero che era bene facesse delle attività che lo stimolassero. E bene qualche tempo fa mio figlio ha iniziato ad andare a cavallo. Ora, per un normo-bambino andare a cavallo a 8 anni già è di per se un’attività niente male, se parliamo poi di un bambino che ha come super poteri l’autismo la cosa si fa diversa. Tutto questo però ha iniziato a prendere una piega strana quando Matteo ha iniziato a prendere lezioni di volteggio!

Il volteggio per chi non lo sapesse è una disciplina equestre che richiede di eseguire figure su un cavallo che va al passo o al galoppo a tempo di musica. La musica! Quella per cui Matteo anche se a basso volume, mette le mani alle orecchie! Figure su un cavallo? Ma Matteo a volte ha difficoltà a mettersi le scarpe???

Domenica, ore 16:00 “Matteo Ortolani” viene annunciato dagli altoparlanti e sta per entrare in pista in una gara ufficiale di volteggio. Ha 8 anni e un sorriso di quelli che illuminano, ed io in quel momento ho dato via un po di lacrime, quelle che mi tengo strette nei momenti difficili. Mio figlio ha volteggiato! Ha fatto le figure “obbligatorie” e per me era come volasse su quel cavallo!

Abbiamo solo un limite, noi stessi e quello che cercano di imporci… combatto continuamente contro i limiti che l’autismo vuole farmi credere abbia mio figlio. E’ ora di non ascoltarlo più!

Ho visto una festa!

Ho visto… cose che voi normo-famiglie “forse” non potete capire.

Ho visto… la festa di compleanno di mio figlio! Mio figlio ha avuto la sua prima festa di compleanno! Mio figlio ha compiuto 7 anni! E voi normo-famiglie “forse” non potete capire la gioia nel vedere il proprio figlio che finalmente è consapevole che quella è la sua festa, che quelle persone sono lì per lui, che la canzoncina che cantavano era proprio per lui!

Ho visto… una festa iniziare tardi rispetto all’ora comunicata. Non arrivava nessuno. Forse per voi è normale, ma ho visto una mamma e un papà, noi, terrorizzati all’idea che in quella festa non venisse nessuno. Voi normo-famiglie “forse” non potete capire che significa avere il terrore costante dell’emarginazione. Avere costantemente paura che vostro figlio venga isolato, ancora più dagli altri rispetto a quanto già fa il maledetto autismo.

Ho visto… in una festa una esplosione di gioia, la nostra, quella di Matteo, dei suoi amici. Sì, amici! Quale magia ha portato quelle persone nella vita di nostro figlio? Io le ho osservate, con il pregiudizio, io… si! io ho avuto pregiudizio. Ho scrutato i vostri gesti, le vostre parole, alla ricerca di cattiveria, perchè dovevo difendere mio figlio da voi normo-famiglie che “forse” non potete capire! E forse non ho osservato bene, o forse avete finto bene! Perchè sembrava altrimenti come si spiega quel che ho visto?

Ho visto… durante la festa, normo-bambini preoccuparsi per mio figlio! Prendergli la mano, aiutarlo a salire sul gonfiabile, accompagnarlo. Ho visto mio figlio bambino tra bambini!

Ho visto… e rivisto per decine di volte un video di 27 secondi! Tanto il tempo che occorre a cantare “tanti auguri a te”. In quel video ho visto un bambino, mio figlio, che per la prima volta ascoltava un gruppo di bambini cantare la canzoncina per lui, e godeva e sorrideva e ha spento le candeline subito dopo senza esitare, l’ho visto per la prima volta dopo 7 anni.

Ho visto… in una semplice festa di compleanno la possibilità che questo mondo possa cambiare e finalmente stringersi intorno a tante altre torte che troppo spesso portano candeline che nessuno spegnerà.

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Pomezia Diamonds Majorettes

Quando mia figlia qualche tempo fa è venuta tutta contenta a dirmi che si era segnata ad un corso di majorette non ero proprio uno dei papà più felici del mondo. L’immagine di mia figlia che tipo una cheerleader di quelle americane sculettava sorridente gridando datemi una “P” datemi una “O”…. “POMEZIA” già si era impossessata di me!14713639_634465266735022_7890125663411914058_n

Dopo qualche tempo però ho iniziato a notare una cosa: mia figlia aveva sviluppato una determinazione ed una volontà per questo “sport” che prima, nelle altre attività, non aveva mai avuto. Danza, nuoto, cavallo erano tutte attività che in qualche modo l’avevano entusiasmata, ma quello che succedeva adesso era qualcosa di diverso.

“Il bastone”, così si chiama l’asta metallica fatta roteare dalle majorette, era diventato qualcosa che da lì in poi avrebbe accompagnato le sue serate davanti al televisore. E così: roteare, lanciare, riprendere, marciare, fare acrobazie erano diventate il suo quotidiano. E’ stato in quel momento che ho iniziato a capire che essere majorette trascinava con se dei lati del tutto inaspettati.

Giovedì 2 giugno 2016 partiamo per Lignano Sabbiedoro dove le ragazze del Pomezia Diamonds, tra cui la mia Elisa nella categoria Minor, partecipa ai campionati Italiani.

Non so descrivere le emozioni che hanno accompagnato i 4 giorni passati insieme a queste ragazze ma ora so di essere un papà felice che sua figlia abbia scelto di essere una “diamantina”.

Descrivere la continua ricerca dell’eleganza, nonostante lo sforzo fisico, il sorriso, nonostante la concentrazione, è una cosa impossibile con le parole. E poi osservare le ragazze strette e vicine nei momenti felici, ma ancora più vicine nei momenti tristi, fa capire qual’è il vero senso del gioco di squadra.

Il bello sta proprio nel vedere queste eleganti ragazze, cimentarsi in esercizi difficilissimi e vederle continuare, anche se si sbaglia, anche se in quel momento un ago conficcato nella mano che ha fatto scivolare il bastone a terra, avrebbe fatto meno male del dolore che si prova dentro. Perchè quell’esercizio sono sicuro che l’hanno provato per ore ed ore davanti alla tv proprio come fa Elisa. E poi il bastone, che ci si mette pure lui a cadere lontano, ed a farsi rincorrere!

Eppure il sorriso è sempre la, delle volte va via per pochi secondi, appena necessari a concentrarsi per un passaggio difficile, a cercare in tutti i modi di non sbagliare, ma poi torna e diventa più raggiante quando quel bastone lanciato in aria torna sicuro nella propria mano.

Giovedì 2 giugno 2016, abbiamo fatto 700 km per ritrovarsi ad applaudire anche l’avversario, già perchè questo dovrebbe essere l’atteggiamento di ogni sport. In questo sport, si applaude forte quando il bastone in aria viene preso al volo, ma si applaude ancora più forte quando cade a terra e non importa il colore della divisa…. o quasi!

Una difficile consapevolezza

Mercoledì 2 Luglio 2014, compleanno di mio figlio Matteo. Beh, direte voi, un giorno importante ma sicuramente un compleanno come tanti: Festa di bambini, regali, musica, candeline. Quel giorno invece è stato probabilmente uno dei giorni più brutti della mia vita.

Quel giorno, di colpo, inaspettatamente, mi è stato consegnato un altro bambino… un altro… così.logo_waad_w150

Martedì 1 Luglio 2014, il giorno prima. Abbiamo appuntamento all’ospedale Bambin Gesù per una visita di controllo. La pediatra dice che è un po strano che Matteo abbia quasi 3 anni e ancora non parla e ha così poco coordinamento motorio, insomma, meglio farlo vedere. Doriana è preoccupata, ma io, con il mio solito ottimismo, le dico che andiamo a perdere tempo che Matteo è solo un bambino che ha bisogno di più tempo e che tutto si aggiusterà.

Entriamo nell’ospedale, reparto neuropsichiatria infantile. Siamo in sala d’attesa e noto da subito la presenza di altri bambini in effetti un po strani. Fino a quel momento avevo sempre sostenuto ed ero vicino al mondo della disabilità, in quel preciso istante invece il mio sentimento era di totale allontanamento, ero infastidito da loro. Noi con quei bambini non centravamo niente. Non è lì che dovevamo stare.

Siamo in attesa, da ore, Matteo non si tiene più, è stanco ma agitato, l’ambiente dell’ospedale non è certo accogliente e per di più si ritrova mamma e papà più nervosi di lui. Ci chiamano dopo ore di attesa.

Le visite, durano poche ore, ma sono estese su due giorni nei quali abbiamo perlopiù aspettato seduti. Quei brevi esami sono stati qualcosa di indicibile. Non eravamo pronti, nessuno ci aveva spiegato. Al tuo bambino, al pari di una cavia vengono fatti fare dei giochi con forme, colori, numeri, ma il tutto con assoluta freddezza e pochissimo tempo a disposizione.

Un bambino di 3 anni, che per ore ha aspettato seduto, che si trova in un ambiente ostico quale quello di un ospedale, d’improvviso deve impilare forme, appaiare colori e riconoscere immagini. L’istinto di alzarsi e portarlo via è scattato più di una volta. Il fatto è, che negli occhi della dottoressa che lo esamina, si legge qualcosa, ma forse mi sbaglio, forse anche lei è stanca.

Secondo giorno. Dopo le “visite” veniamo chiamati in una stanza. C’è un altro dottore, forse il primario, sembra che lui è quello che sa. Inizia a fare tutto un discorso e più volte ci chiede “ma voi come vi sentite? Siete preoccupati?”. Certo che non sono preoccupato, ma cosa stai dicendo? Matteo è un bambino normale penso io. Poi, dopo il giro di parole, arriva alla sua sentenza: “Il bambino ha in effetti un disturbo dello spettro autistico”.

Dottore, ascolti…” e finalmente mi sfogo, e spiego al dottorino che probabilmente il loro metodo non funziona bene… che non è possibile stressare genitori e bambini tutte quelle ore… che non può in poche ore capire che il mio bambino non è il mio bambino… ma un altro… un altro bambino.

Il dottore, con la calma e la pazienza di chi ha già ascoltato quelle polemiche, di chi sapeva già cosa avrei detto, di chi semplicemente fa il suo lavoro, mi dice che sì, è vero, qualche volta può sbagliarsi, ma statisticamente solo nel 3% dei casi.

Siamo in macchina, di ritorno, Matteo dorme, noi siamo in silenzio. Rompo io il silenzio. Il fatto è che lì, in quel momento, ancora pensavo a quel 3%. E’ poco il 3%, non ci metteresti sopra un euro, ma in quel momento era tutto quello che avevo.

Vedrai...” dico a Doriana, “… torneremo tutti e tre, tra qualche anno, da questo imbecille e indosseremo una bella maglia con sopra scritto “noi siamo il 3%!!!””.video_autismo_conoscere_comprendere

Mercoledì 2 Luglio 2014 compleanno di mio figlio Matteo. Quel giorno non è cambiato solo Matteo, d’improvviso noi stessi abbiamo iniziato a trasformarci, e solo ora so che ci saremmo trasformarci in delle perfette macchine da guerra.

Matteo è nervosissimo, troppa gente a casa nostra. La festa, la musica. Inizia a tapparsi le orecchie, inizia a piangere, ad urlare. Chiedo all’animazione di spegnere la musica, mi guardano come a dire se ero impazzito. Anche senza musica, mentre tutti gli altri bambini si divertono, urlano e giocano, Matteo piange. Lo prendo e lo porto via, fuori in strada, diventa ancora più nervoso, vuole tornare a casa sua. Non so che fare… non so come comportarmi… non conosco mio figlio… è un altro.

Si affaccia sulla strada mio padre, mi chiede di entrare che c’è la torta, le candeline da spegnere. Non so se spegnerà quelle maledette candeline, ma almeno finisce sta festa di merda e tutti se ne vanno a casa propria e il mio bambino si calmerà.

L’autismo è così: è musica assordante; è colori accecanti, odori nauseabondi, forme spaventose e altre cose che forse nemmeno possiamo immaginare. Solo questo avevo capito i primi giorni andando a documentarmi.

Quello che non avevo ben capito invece, è che i bambini autistici, sono bambini! sono emozioni, amore, affetto, sono qualcun altro sì, ma come qualsiasi altro bambino. “Hanno” un disturbo e non “sono” il disturbo.

Non “sono” disabili ma “hanno” una disabilità. Imparate questo, vi prego.

2 Aprile 2016, Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo. Ieri sera quando sono tornato a casa da lavoro, Matteo mi ha salutato sorridendomi. Vi chiedete qual’è la notizia? È semplice, ma sorprendente, meravigliosa e immensa… la notizia è che mi ha salutato sorridendomi.

Macchine da guerra, questo ora siamo io e mia moglie. Ma abbiamo con noi un esercito. La prima è Elisa, nostra figlia, prima terapista di Matteo. Nessuno gliel’ha chiesto, nessuno le ha spiegato cos’è l’autismo, in realtà nessuno le ha nemmeno mai detto che suo fratello HA un disturbo. Eppure, Elisa, fa tutte quelle cose che io e Doriana abbiamo dovuto imparare nei corsi di Parental Training. Guarda noi e lo rifà, ma meglio di noi, con l’innocenza e la semplicità dei bambini. Matteo è fortunato.

12801284_1661964267387330_4236690098659211736_nPoi nel nostro esercito, ci sono loro, i nostri angeli, le NOSTRE terapiste. Loro sanno cosa significa fare di un lavoro una passione. Oggi voglio abbracciarle tutte.

Macchine da guerra siamo. Un esercito. Probabilmente un giorno compreremo una divisa, una bella maglietta con scritto “Noi siamo il 97%” ma siamo qui, ora. Combattiamo una guerra non solo contro un “disturbo” ma anche contro una festa di compleanno che abbiamo intorno, dove c’è musica assordante, gente che non capisce, ma soprattutto gente a cui non importa niente di capire. Combattiamo anche contro di loro.

L’autismo non è contagioso! se mai lo può essere la gioia di Matteo. Strano no? Con tutti i problemi che ha, direste voi! E’ un bambino gioioso? Forse no, non è strano. Forse tutto l’amore e le attenzioni che ha addosso… come potrebbe essere triste.

Consapevolezza dell’autismo… difficile… anzi quasi impossibile se non ti avvicini, se non fai parte di questo mondo. La consapevolezza non deve fermarsi alle difficoltà degli autistici, ma deve spingersi a tutta la famiglia che gli è vicina, solo così aiuterete il nostro esercito a vincere questa guerra.

100 metri al giorno

Come molti altri papà, tutte le mattine alle 7:50 accompagno mia figlia Elisa a scuola. Elisa oggi fa la 2 elementare e quel passaggio da casa a scuola è probabilmente il momento più bello della mia giornata.

Si sa, la mattina generalmente ognuno di noi ha uno spirito diverso, più energico, fresco, con la prospettiva di un giorno che sta per iniziare e con l’animo ancora libero dai problemi che durante il giorno dovremo affrontare. Non lo so, forse sarà proprio grazie a questo spirito, ma di fatto in quei 10 minuti di tragitto tra casa e scuola, io ed Elisa riusciamo a parlare di qualsiasi cosa con grande condivisione e complicità.
bambini a scuola
Poi alle 8:00 arriviamo a scuola e ogni mattina, pur potendo lasciare l’auto vicinissima all’entrata, preferisco sempre parcheggiarla almeno ad un centinaio di metri di distanza. Vi sembrerà stupido, ma quei 100 metri, fatti a piedi tutte le sante mattine mano nella mano con mia figlia, cadenzano il ritmo della mia giornata, la rallentano.

Elisa non mi ha mai detto niente del fatto che parcheggio così lontano, non credo di illudermi nel pensare che anche lei ama quel momento, che anche lei ama quello spazio che ci concediamo.

E capita, certo, che qualche mattina siamo in ritardo, o che ho i minuti contati per via di qualche appuntamento di lavoro, ma puntualmente non mi faccio mai mancare i nostri 100 metri. Quello è uno spazio nostro, insostituibile. E mi piace guardare certe volte genitori correre, affannarsi, perché sono le 8 e 5 minuti e noi invece lì, tranquilli che camminiamo.

In quei 3 o 4 minuti a piedi, rivivo ricordi di tempi in cui tutto era meno frenetico, in cui si poteva andare a scuola a piedi e da soli! In cui si parlava a voce e non a tasti, in cui il martedì dovevo attraversare a piedi pure il mercato prima di arrivare a scuola. Ma soprattutto in quei 3 o 4 minuti stampo momenti indelebili nei nostri ricordi.

Poi arrivati a scuola saluto la mia bambina e in quel preciso istante tutto torna veloce, accelera… ed è proprio in quel momento che quello spirito leggero, quell’animo fresco e mattutino realizza che da li a poco inizierà a fare i conti con una realtà ben diversa.

La felicità

Festa di bambini… il gioco della pignatta… qualche colpo e si rompe e tutti a correre per raccattare caramelle e sorprese varie. Il primo bambino che si allontana ha le mani piene di caramelle, qualche minuto prima era lì che sgomitava e prepotentemente arraffava a destra e a manca. Subito dopo vedo una bambina che piange, ha in mano due caramelle e quando le chiedo perchè piange, mi risponde che gli altri bambini le hanno rubato le caramelle e gliene sono rimaste solo due. Tutti i bambini ormai se ne sono andati, solo una bambina ancora cerca in mezzo ai coriandoli e ai pezzi della pignatta. Ad un certo punto trova qualcosa, la guarda ed esulta con gioia: “una caramella!!! sono proprio fortunata!”.

La felicità è sapersi accontentare… approposito… quella bambina era mia figlia.