Una difficile consapevolezza

Mercoledì 2 Luglio 2014, compleanno di mio figlio Matteo. Beh, direte voi, un giorno importante ma sicuramente un compleanno come tanti: Festa di bambini, regali, musica, candeline. Quel giorno invece è stato probabilmente uno dei giorni più brutti della mia vita.

Quel giorno, di colpo, inaspettatamente, mi è stato consegnato un altro bambino… un altro… così.logo_waad_w150

Martedì 1 Luglio 2014, il giorno prima. Abbiamo appuntamento all’ospedale Bambin Gesù per una visita di controllo. La pediatra dice che è un po strano che Matteo abbia quasi 3 anni e ancora non parla e ha così poco coordinamento motorio, insomma, meglio farlo vedere. Doriana è preoccupata, ma io, con il mio solito ottimismo, le dico che andiamo a perdere tempo che Matteo è solo un bambino che ha bisogno di più tempo e che tutto si aggiusterà.

Entriamo nell’ospedale, reparto neuropsichiatria infantile. Siamo in sala d’attesa e noto da subito la presenza di altri bambini in effetti un po strani. Fino a quel momento avevo sempre sostenuto ed ero vicino al mondo della disabilità, in quel preciso istante invece il mio sentimento era di totale allontanamento, ero infastidito da loro. Noi con quei bambini non centravamo niente. Non è lì che dovevamo stare.

Siamo in attesa, da ore, Matteo non si tiene più, è stanco ma agitato, l’ambiente dell’ospedale non è certo accogliente e per di più si ritrova mamma e papà più nervosi di lui. Ci chiamano dopo ore di attesa.

Le visite, durano poche ore, ma sono estese su due giorni nei quali abbiamo perlopiù aspettato seduti. Quei brevi esami sono stati qualcosa di indicibile. Non eravamo pronti, nessuno ci aveva spiegato. Al tuo bambino, al pari di una cavia vengono fatti fare dei giochi con forme, colori, numeri, ma il tutto con assoluta freddezza e pochissimo tempo a disposizione.

Un bambino di 3 anni, che per ore ha aspettato seduto, che si trova in un ambiente ostico quale quello di un ospedale, d’improvviso deve impilare forme, appaiare colori e riconoscere immagini. L’istinto di alzarsi e portarlo via è scattato più di una volta. Il fatto è, che negli occhi della dottoressa che lo esamina, si legge qualcosa, ma forse mi sbaglio, forse anche lei è stanca.

Secondo giorno. Dopo le “visite” veniamo chiamati in una stanza. C’è un altro dottore, forse il primario, sembra che lui è quello che sa. Inizia a fare tutto un discorso e più volte ci chiede “ma voi come vi sentite? Siete preoccupati?”. Certo che non sono preoccupato, ma cosa stai dicendo? Matteo è un bambino normale penso io. Poi, dopo il giro di parole, arriva alla sua sentenza: “Il bambino ha in effetti un disturbo dello spettro autistico”.

Dottore, ascolti…” e finalmente mi sfogo, e spiego al dottorino che probabilmente il loro metodo non funziona bene… che non è possibile stressare genitori e bambini tutte quelle ore… che non può in poche ore capire che il mio bambino non è il mio bambino… ma un altro… un altro bambino.

Il dottore, con la calma e la pazienza di chi ha già ascoltato quelle polemiche, di chi sapeva già cosa avrei detto, di chi semplicemente fa il suo lavoro, mi dice che sì, è vero, qualche volta può sbagliarsi, ma statisticamente solo nel 3% dei casi.

Siamo in macchina, di ritorno, Matteo dorme, noi siamo in silenzio. Rompo io il silenzio. Il fatto è che lì, in quel momento, ancora pensavo a quel 3%. E’ poco il 3%, non ci metteresti sopra un euro, ma in quel momento era tutto quello che avevo.

Vedrai...” dico a Doriana, “… torneremo tutti e tre, tra qualche anno, da questo imbecille e indosseremo una bella maglia con sopra scritto “noi siamo il 3%!!!””.video_autismo_conoscere_comprendere

Mercoledì 2 Luglio 2014 compleanno di mio figlio Matteo. Quel giorno non è cambiato solo Matteo, d’improvviso noi stessi abbiamo iniziato a trasformarci, e solo ora so che ci saremmo trasformarci in delle perfette macchine da guerra.

Matteo è nervosissimo, troppa gente a casa nostra. La festa, la musica. Inizia a tapparsi le orecchie, inizia a piangere, ad urlare. Chiedo all’animazione di spegnere la musica, mi guardano come a dire se ero impazzito. Anche senza musica, mentre tutti gli altri bambini si divertono, urlano e giocano, Matteo piange. Lo prendo e lo porto via, fuori in strada, diventa ancora più nervoso, vuole tornare a casa sua. Non so che fare… non so come comportarmi… non conosco mio figlio… è un altro.

Si affaccia sulla strada mio padre, mi chiede di entrare che c’è la torta, le candeline da spegnere. Non so se spegnerà quelle maledette candeline, ma almeno finisce sta festa di merda e tutti se ne vanno a casa propria e il mio bambino si calmerà.

L’autismo è così: è musica assordante; è colori accecanti, odori nauseabondi, forme spaventose e altre cose che forse nemmeno possiamo immaginare. Solo questo avevo capito i primi giorni andando a documentarmi.

Quello che non avevo ben capito invece, è che i bambini autistici, sono bambini! sono emozioni, amore, affetto, sono qualcun altro sì, ma come qualsiasi altro bambino. “Hanno” un disturbo e non “sono” il disturbo.

Non “sono” disabili ma “hanno” una disabilità. Imparate questo, vi prego.

2 Aprile 2016, Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo. Ieri sera quando sono tornato a casa da lavoro, Matteo mi ha salutato sorridendomi. Vi chiedete qual’è la notizia? È semplice, ma sorprendente, meravigliosa e immensa… la notizia è che mi ha salutato sorridendomi.

Macchine da guerra, questo ora siamo io e mia moglie. Ma abbiamo con noi un esercito. La prima è Elisa, nostra figlia, prima terapista di Matteo. Nessuno gliel’ha chiesto, nessuno le ha spiegato cos’è l’autismo, in realtà nessuno le ha nemmeno mai detto che suo fratello HA un disturbo. Eppure, Elisa, fa tutte quelle cose che io e Doriana abbiamo dovuto imparare nei corsi di Parental Training. Guarda noi e lo rifà, ma meglio di noi, con l’innocenza e la semplicità dei bambini. Matteo è fortunato.

12801284_1661964267387330_4236690098659211736_nPoi nel nostro esercito, ci sono loro, i nostri angeli, le NOSTRE terapiste. Loro sanno cosa significa fare di un lavoro una passione. Oggi voglio abbracciarle tutte.

Macchine da guerra siamo. Un esercito. Probabilmente un giorno compreremo una divisa, una bella maglietta con scritto “Noi siamo il 97%” ma siamo qui, ora. Combattiamo una guerra non solo contro un “disturbo” ma anche contro una festa di compleanno che abbiamo intorno, dove c’è musica assordante, gente che non capisce, ma soprattutto gente a cui non importa niente di capire. Combattiamo anche contro di loro.

L’autismo non è contagioso! se mai lo può essere la gioia di Matteo. Strano no? Con tutti i problemi che ha, direste voi! E’ un bambino gioioso? Forse no, non è strano. Forse tutto l’amore e le attenzioni che ha addosso… come potrebbe essere triste.

Consapevolezza dell’autismo… difficile… anzi quasi impossibile se non ti avvicini, se non fai parte di questo mondo. La consapevolezza non deve fermarsi alle difficoltà degli autistici, ma deve spingersi a tutta la famiglia che gli è vicina, solo così aiuterete il nostro esercito a vincere questa guerra.