Luca Dante Ortolani

"La vita è come in teatro, bisogna interpretare sia parti belle che brutte se si vuol recitare" LDO

Luca Dante Ortolani

Rinato il 17.05.2023

In primo piano

Avete presente quando hai una vita routinaria, dove tutti i giorni bene o male fai le stesse cose? Dove ogni tanto capita qualcosa di buono e ogni tanto magari capita qualche ostacolo o problema da superare? Ecco, in questi giorni e notti che si rincorrono spesso senza che noi ce ne accorgiamo, ogni tanto, di colpo, cade un quadro! (Cit.Baricco) qualcosa che cambia tutto.

Era dicembre scorso, quando inizio ad avere una strana sensazione ai denti dalla parte destra, come quando mangi la ciccia e ti resta qualcosa incastrato. Passo giorni a cercar di capire, scrutandomi la bocca ma nulla. Poi accade qualcosa di ancora più strano: inizia gradualmente a mancarmi la sensibilità sul volto sempre dal lato destro… ecco ora mi preoccupo.

Il caso vuole che abbiamo in famiglia un caro amico medico che mi rasserena: “potresti avere il nervo trigemino infiammato… niente di che ma è meglio fare una risonanza”. Ed è proprio con la risonanza che scopro che c’è qualcosa che non va… ho troppo cervello, o meglio un pezzetto in più… cade il quadro!

Il caso vuole che a Genzano, il mio paese, periodicamente, da Ancona, in un centro medico locale viene a visitare il Prof. Iacoangeli. Ad Ancona dove lavora è un primario dell’ospedale. Io non lo avevo mai sentito nominare. Il cognome di certo è Genzanese, ed infatti scopro che è proprio originario di Genzano. E’ lui ad interpretare la mia risonanza e lo fa con una familiare e quasi impercettibile inflessione Genzanese. La sua è una ricostruzione dettagliata di come stanno le cose.

“Neurinoma dell’acustico!…”, sentenzia il Professore, “…un tumore benigno” dice. La parola benigno, vicino alla parola tumore, in quel momento mi spiazza, non capisco. “E’ un tumore che va assolutamente tolto”, continua, “…perchè cresce pian piano e pian piano premendo su diversi nervi e sul cervelletto crea diversi problemi via via sempe più invalidanti…” ecco, ora ho capito ed ho il panico.

Il caso vuole, che a me in 50 anni di vita non mi è mai capitato niente che riguardasse la salute!!! sono stato fortunato lo so! mai un punto di sutura, mai un gesso, mai una carie, mai un intervento, va beh… non so se un unghia incarnita fa punteggio, ma qui ora si parlava di un intervento delicato in testa! Proprio a me che mi giro dall’altra parte quando mi tolgono il sangue.

Ma il vero problema era un altro: Io non posso morire! non me lo posso permettere: ho un figlio che combatte contro l’autismo ed insieme dobbiamo raggiungere l’infinito ed oltre; ho una figlia di cui vado infinitamente fiero e vorrei osservarla crescere; ho ancora tanti aperitivi da prendere con la donna che amo; ho un’azienda che è come una famiglia e la devo portare avanti ma il quadro è caduto, ed ha fatto un bel botto.

Il Professore conclude che bisogna operare, anche se non c’è fretta perchè: “hai ancora sintomi lievi”. Ovvero, per la cronaca in quel momento: non mi sentivo metà faccia; non sentivo sapori ma solo a destra, ed il mio acufene era impazzito. La diagnosi era certa, dovevo solo capire a chi affidarmi. Qualcuno mi dice, “perchè proprio lui? prova a sentire altri, ci sono diversi esperti in Italia per i neurinomi.”

Il fatto è che il Professore univa ad una evidente (e poi ho scoperto riconosciuta) competenza, un lato umano che era raro per certi luminari come lui e poi come me, anche lui aveva mangiato lo stesso pane casareccio, quello del mio paese, e come me anche lui conosceva il profumo dell’infiorata appena realizzata. Poi, insomma, perchè il caso aveva voluto che uno specialista conosciuto a livello nazionale come lui, si trovasse proprio a Genzano? non c’è dubbio, doveva essere lui ad operarmi.

Il caso vuole che proprio in quei giorni, pieni di dubbi e di famiglia che ti sta intorno e ti sostiene facendo finta di non aver paura, un importante fornitore della nostra azienda mi invita da li a due mesi ad un evento, di quelli imperdibili che si organizzano per fidelizzare i migliori clienti: una crociera su di un veliero storico nel mar baltico!

Ho altro da pensare, lo so, ma accetto subito l’invito e mi fisso il primo obiettivo: farò questo maledetto intervento, mi riprenderò ed andrò a quella crociera e poi me la godrò perché sarà tutto passato.

Naturalmente il mio è un buttare il cuore oltre l’ostacolo e pensare che tutto andrà bene e che quei dati statistici sciorinati dal Professore e che contemplano il peggio, non centrano niente con me… “io non posso morire… hai capito lassù??? oppure se hai deciso così, pensaci tu a mio figlio! ricomponi tu quel che resterà del cuore di Debora, della mia famiglia e di tutti quelli che soffriranno la mia mancanza”.

Viene fissata una data per l’intervento. Un caro amico mi dice di non pensare con la testa ma solo col cuore, perché il suo di cuore gli dice che andrà tutto bene e me lo viene a dire di persona, addirittura raggiungendomi a casa e facendomi capire per la prima volta quanta fede ha. Mi abbraccia come si fa con un fratello che parte… grazie Franco.

In momenti e luoghi diversi, arrivano altre persone, diverse persone, ed ognuno mi lascia qualcosa, un abbraccio, un rosario, una croce ed altri oggetti religiosi a cui sono affezionati e con grande fede e calore, ognuno mi dice che pregherà per me e che gli restituirò quell’oggetto quando tornerò.

Addirittura il caso vuole che Debora ha una sua collaboratrice molto religiosa che le dice che chiederà a delle suore di un convento di clausura che lei conosce, di pregare per me… “un gruppo di suore!?!” scherzando le dico “che potenza di fuoco!!!”.

Sono molto spiazzato e confuso da tanto affetto ma soprattutto da questa atmosfera religiosa che mi circonda. Dopo la diagnosi di autismo di Matteo avevo messo la mia fede da parte, perché, insomma, ero un tantino incazzato con chi avesse mai potuto decidere una croce così grande per mio figlio. Ora ho la sensazione come di un messaggio che voglia per forza arrivarmi, prepotentemente. Qualcuno penserà che sarà stata la disperazione ma decido di ascoltare il mio cuore e mettermi interamente nelle mani del Signore predisponendomi ad accettare qualsiasi cosa accadrà.

Sono in sala operatoria, sono pronto. Una dottoressa molto giovane mi dice “ci siamo! stiamo per addormentarti” poi inaspettatamente mi chiede “Hai dei figli?” le rispondo con un sorriso: “sì, Elisa che ha 15 anni e Matteo che ne ha 12” poi mi addormento e l’ultima cosa che ricordo di quel momento, è il forte desiderio di riaprire presto gli occhi e rivederli.

Nel mio peregrinare su Internet alla ricerca di informazioni, tra le altre avevo letto che l’intervento sarebbe durato tra le 6 e le 8 ore ma era un dato molto variabile. Insomma la particolarità del mio problema è che fintantoché non si entra nella testa, non si può capire come andrà l’intervento e soprattutto quali conseguenze post-operatorie ci saranno: dalla perdita dell’udito, ad una paresi facciale temporanea ma anche definitiva, fino a problemi di equilibrio e altre piccole cose.

13 ore di intervento! Sono 13 le ore che la mia famiglia ha dovuto attendere fuori dall’ospedale senza avere notizie di me. 13 ore nelle mani di una equipe medica multidisciplinare che a turno e con gli occhi fissi su di un microscopio, ha staccato molecola dopo molecola un ciccetto di 3 cm dall’interno della mia testa.

Apro gli occhi. Capisco di essere in terapia intensiva. Non sento il mio corpo, nessun dolore. Sento solo la voce di un dottore molto giovane, forse uno specializzando che mi dice: “E’ andato tutto bene! L’intervento è durato molto, ma potrai ancora sentire e vedrai che non avrai problemi con la faccia. Domani ti portiamo a reparto”. Respiro di gioia, ma sono molto stanco. Chiudo gli occhi.

Apro gli occhi. E’ passato un giorno. Mi dicono che sto per andare a reparto. Un infermiere avvicina alla mia mano il mio cellulare, quello dove ho migliaia di foto della mia famiglia, dei miei figli, di Debora, della mia vita… per me è come se mi dicesse ora puoi continuare a scattare altre foto.

Con tutto il letto, mi portano attraverso corridoi, poi un ascensore, ancora corridoi, poi svoltano da una parte e si fermano e sul lato del letto, mi ritrovo inaspettatamente due donne stanchissime, è un’infinità di tempo che aspettano, sono state molte ore ma per loro è come fossero passati 100 giorni. Hanno negli occhi lacrime ed una felicità nel rivedermi che solo chi ti ama come loro può avere: Debora il mio amore e mia sorella Cristina.

Arrivo in reparto, scopro che ho un compagno di stanza. Si chiama Sergio ed è qui per un infarto. Anche lui ha il suo quadro che è caduto. Sono ancora stanchissimo e frastornato ma nonostante l’udito mancante da un lato, la paresi facciale e la mia bocca storta, inizio a parlare con Sergio e non mi fermo più. Ho voglia di raccontare, ho voglia di vivere. Sono come un bambino appena nato che urla e brama la vita che lo attende.

I primi giorni sono duri, ma non vi voglio raccontare ancora dettagli medici. Per distrarmi, parlo ore ed ore con Sergio e gli racconto che ci sono persone la fuori che mi attendono, tante persone che hanno pregato per me e che ora voglio ringraziare. Vorrei abbracciarle una ad una, pure le suore di clausura mi abbraccerei se potessi. Poi c’è Elisa, Matteo, la mia famiglia, la mia azienda e poi gli racconto che nel nord della Germania tra poco meno di 30 giorni c’è anche un veliero che mi attende, ed io voglio esserci con tutte le mie forze.

Sono passati 9 giorni dall’operazione, ed il Professore Otorino, non quindi il mio Professore paesano ma comunque uno di quelli che ha composto l’equipe medica, scontento della mia paresi e del fatto che ho perso l’udito dalla parte destra, mi dice che l’operazione è stata qualcosa di eccezionale a livello mondiale, tutto è andato bene, è ora di dimettermi!

Sono talmente felice che quasi non mi importa dell’udito perso e della mia paresi. Ho mezza bocca storta, mezzo sorriso e così mi dico: “beh sorriderò due volte!” e l’udito perso dalla parte destra, sarà utile per metterci chi non mi va di ascoltare. Mi riecheggiano le parole di Alex Zanardi quando a conoscenza della perdita delle sue gambe, ha detto qualcosa tipo: “non mi sono concentrato su quello che avevo perso ma su quello di me che era rimasto” il confronto tra la sua grandezza e me è lontano ma le sue parole mi aiutano.

Torno a casa nelle braccia della mia famiglia, in un abbraccio che in realtà nei giorni addietro non ho mai sentito togliere dai miei finachi e dal mio cuore. Torno da Matteo ed Elisa! E’ ora di riprendersi! Dopo pochi giorni, un po contro tutti, decido di tornare anche a lavoro, seppur per poche ore al giorno…. c’è un veliero che mi attende!

Oggi è il 25 giugno, è passato più di un mese dall’intervento. Sono qui, seduto nel gate dell’aeroporto di Amburgo, in attesa di prendere il volo di ritorno per Roma e tornare a casa. Sono qui perché sono di ritorno da un’esperienza bellissima, da poco sceso da quel veliero che tanto ho desiderato. Ma sono qui a raccontarvi anche di altro.

Il veliero era spettacolare e così il contesto e l’atmosfera. A bordo eravamo circa 100 persone tra Tedeschi che erano la maggior parte, Austriaci ed infine Italiani la minoranza, forse in tutto una quindicina di persone. L’ambiente era molto ma molto festaiolo e decine e decine di birre, scorrevano tra le mani dei nostri amici nordici che quindi erano sempre più allegri.

Il caso vuole che ancora non completamente ripresto nelle forze, decido con Debora di mettermi in un punto del veliero dove ci sono poche persone e la musica è più bassa e li conosciamo una coppia di Italiani che come noi volevano stare tranquilli.

Il caso vuole che nasce immediatamente ed inaspettatamente una intesa incredibile io con lui e Debora con lei. E’ come se ci conoscessimo da sempre ed in tante ore di navigazione iniziamo a raccontarci le nostre vite ad un livello che è di ben oltre rispetto a quello che di solito si condivide con degli sconosciuti. Ad un certo punto quest’uomo, oramai mio compagno di viaggio, mi racconta dei suoi figli. Ne ha tre.

Tra le sue parole percepisco un grande amore, ed uno ad uno mi parla di loro, fino ad arrivare alla più grande e mi dice: “…lei è una suora di clausura!” poi continua “…Io non sono religioso e quindi…. capisci… questa scelta…. insomma, perché così giovani restare chiusi in un convento a pregare invece di fare cose concrete per chi ha bisogno?”. Rimango scioccato. Penso ok, è una suora di clausura ma mica può essere la stessa di quelle che hanno pregato per me?

Mi trovo a migliaia di km da casa, nel mar baltico, su di un veliero, circondato da amici tedeschi e austriaci ubriachi, come può essere che questa persona che conosco da poche ore, mi stia raccontando questa storia?

Debora allora subito gli chiede dettagli sul convento e stupiti noi e stupiti loro, scopriamo che è proprio quello, lo stesso convento in cui un gruppo di suore ha pregato per me. A quel punto racconto a miei nuovi amici tutta la mia storia, quella che ho appena raccontato a voi.

Sento di dover rispondere a quell’uomo e così faccio: “Senti, io come te ho tantissimi dubbi. Magari è vero, tua figlia potrebbe impegnare la sua vita in azioni concrete invece di essere chiusa in un convento… o magari io sono qui oggi anche grazie alle sue preghiere… non lo so…. non so dirti… ti chiedo soltanto una cosa, quando la rivedrai abbracciala e ringraziala da parte mia.”

Di tutta questa esperienza, porto con me tantissime cose ma tra le prime, il calore e le preghiere di tantissime persone, alcune da sempre vicine, altre inaspettate, alcune addirittura sconosciute. Ho tanto da restituire ed una nuova vita per farlo.

Chiamano al gate, torno a casa. Il primo obiettivo è stato raggiunto!!!

Rinato il 17.05.2023

Da due, tre giorni a questa parte, non faccio che ricevere bellissime notizie. Sul lavoro una molto importante che aspettavo da quasi 4 anni, per la salute tante conferme del mio miglioramento dopo l’intervento e poi mi arriva la pagella di Matteo e non c’è lavoro o salute che tenga.

La questione della scuola Italiana dei “voti” vs i “giudizi” è una lunga storia. Ed è vero quando si dice che un voto da solo non racconta niente.

Gli 8 o i 7 della pagella di mio figlio hanno valore perché evidenza di uno sforzo continuo, giornaliero contro mille difficoltà che ti remano contro. Nemmeno io da aut-papà posso immaginare le difficoltà sensoriali o cognitive o relazionali che ogni giorno anzi ogni singolo momento Matteo con il suo Autismo deve affrontare per ogni minimo insegnamento che riceve a scuola.

Per farvi capire… Non mi piace il calcio, lo so è strano, ma ricordo certe partite: quelle in cui affronti la squadra più forte del mondo, quelle in cui ci sono stati tanti falli e un arbitro che ti rema contro, quelle in cui finiscono i due tempi e pure i tempi supplementari e sei ancora 0 a 0, quelle in cui arrivi ai rigori e per una lunga ed interminabile serie di rigori battuti, tu soffri insieme ai giocatori in campo… finché arriva quel momento e la palla entra in rete e vinci i mondiali…. ecco non avrei potuto descrivervi in altro modo cosa proviamo in famiglia quando Matteo raggiunge i suoi piccoli traguardi dopo un interminabile sfilza di tentativi.

Io e te, come ai mondiali, verso l’infinito e oltre 🚀

La vita è come in teatro bisogna interpretare sia parti belle che brutte se si vuol recitare.

Quattro giorni fa si è aperto un nuovo sipario… vi aspetta un Me diverso… speriamo migliore… signori… “chi è di scena!”… “Sipario!”

Uno Spritz e un’aranciata

Capita a volte che debba prendere i bambini ma che Elisa tra le sue attività, faccia un po tardi e quindi ci troviamo io e Matteo a dover organizzare qualcosa da fare in un’ora d’attesa e di solito c’è una cosa che amo fare con lui: andare a passeggiare sulla spiaggia.

Così abbiamo fatto l’altro giorno, mano nella mano, lui senza scarpe, perchè le ha fatte fuori appena arrivati, ed io a godermi la sua e la mia serenità. Il mare è un ambiente perfetto per noi. Niente parole, il vento, niente rumori oltre quelli delle onde che frangono, ed uno spazio sterminato per fare le nostre corse dove vince sempre lui.

Il sole era quasi al tramonto, ed eravamo vicini ad un posticino carino per gli aperitivi, di quelli che hanno i tavolini quasi sulla sabbia e ti permettono di goderti lo spettacolo di fine giornata.

Ci sediamo al tavolo ed in quel momento accade qualcosa, un epilogo perfetto, qualcosa che le tante persone ai tavoli non possono aver notato, qualcosa che mi spiazza. Matteo con nonchalance mi guarda e mi chiede: “papà, cosa beviamo?”.

Lo so a voi suona “normale” per una scena di un padre ed un figlio super compagnoni, con tanta complicità, che amano stare insieme, che si godono un buon aperitivo, tutto giusto… ma togliete alla scena tutti i dialoghi. Perché una delle cose che fa l’autismo è questa, toglie i dialoghi ma lascia tutto il resto.

Me lo ha ricordato Matteo in quella occasione. I nostri momenti sono fatti di tanto silenzio ma tutto il resto è là! Quella frase non l’aveva mai pronunciata. figuriamoci mi è preso un colpo, sembrava provenire da qualcun altro. Ma in quella piccola frase ho potuto “sentire” la nostra complicità e la gioia di trovarsi li a condividere quel momento.

“Amore mio… uno Spritz e un’aranciata!”

Io e te davanti a mille tramonti verso l’infinito e oltre.

San Valentino non è per noi…

Invece sarebbe bello oggi non amarti, così, per sfizio, giusto per ricordarmi com’era prima di incontrarti. Sarebbe proprio bello oggi non amarti, e tornare a casa stasera e trovare te e innamorarmi ancora, come la prima volta, come accade ancora, giorno dopo giorno. Sarebbe bello oggi non amarti… ma ti amo anche oggi, esattamente come tutti gli altri giorni! ❤️

Disability Washing? … era meglio il Green washing!

Anche quest’anno sono stato a Ecomondo fiera di riferimento del mio lavoro e come capita spesso ho partecipato ad una cena su invito di un importante gruppo del settore. Immaginavo, già ancor prima di andare, che sarebbe stata una cena con momenti “comunicativi”, quello che non immaginavo però è che tutto sarebbe iniziato con qualcosa al limite del “Disability Washing”.

Non conoscete il termine? Fino a pochi giorni fa nemmeno io. Conoscevo il “Green Washing” che vuole rappresentare il voler forzatamente divulgare un’immagine aziendale sensibile ai temi ambientali ai soli fini commerciali e di questo, aziende come le nostre che si occupano di servizi ambientali, sono spesso accusate. Ecco, chi fa Disability washing fa la stessa cosa ma con la disabilità.

Pensavo di andare a partecipare ad una buona cena, immerso in un contesto di decine di persone che conosco e che fanno il mio stesso lavoro, invece sono andato a lezione forzata di inclusione e disabilità, pur avendola tatuata sulla pelle e nel cuore. Sono stato fortemente scosso. Non ho dormito.

Il fatto è questo. Sono anni che mi occupo tra le altre cose dell’immagine della mia azienda, un’immagine che cerca in tutti i modi di trasmettere agli altri che la nostra è un’attività industriale come tante altre e che abbiamo certamente una sensibilità, ma per qualcosa che facciamo nei fatti! Abbiamo il “recupero” nel sangue e nell’anima da sempre, ma è nei fatti che lo dimostriamo.

“Fatti e non pugnette” diceva un comico di Zelig che amavo. Sono certo caro imprenditore che hai deciso di intrattenermi a tavola con una lezione sull’inclusione e la disabilità durata forse 20 minuti, che tu abbia veramente a cuore questo tema e allora completo la tua lezione con qualcosa che spero davvero ti faccia riflettere.

Esistono diversi tipi di “inclusioni” che stanno a cuore a tutti i disabili e a tutte le famiglie dei disabili: L’inclusione scolastica per i più piccoli, l’inclusione lavorativa per gli adulti e l’inclusione sociale per tutti. Noi imprenditori che ci occupiamo di “lavoro”, se davvero abbiamo a cuore questo tema, possediamo e maneggiamo la cosa più preziosa a cui un disabile possa ambire.

Caro imprenditore hai un fantastico gruppo, e lo dico sul serio, che oggi conta probabilmente 1.500 dipendenti, ti lancio una proposta: Perchè fermarsi all’obbligo di legge di assumere il 7% di disabili? Perchè non aumenti quella percentuale, anzi, facciamolo insieme. Pensa se solo la portassimo all’8% nel tuo caso, con un solo punto percentuale, daresti lavoro ad altri 15 disabili!

Hai spiegato durante la cena che la fondazione che hai creato non è erogativa ma fa azioni concrete nel campo dello sport con la realizzazione di campi di calcio inclusivi! Mi complimento con te, tutto molto bello e lodevole.

Ma sai, penso a Matteo, mio figlio autistico, un giorno, quando avrà superato i 18 anni e avrà fatto una bellissima partita inclusiva di calcio per poi tornare a casa e non avere nessuna altra cosa da fare, nessun lavoro, nessuna prospettiva per il suo futuro.

E’ il “lavoro” il bene più prezioso! è il lavoro che un giorno lo farà sentire utile e totalmente abile nonostante la sua disabilità. E’ il lavoro che come imprenditore puoi, posso e possiamo, anzi dobbiamo offrire. Posso lasciare in eredità a mio figlio mille campi da calcio e un buon conto in banca ma farò molto di più nel momento in cui riuscirò ad impegnarlo in un lavoro in cui potrà finalmente sentirsi incluso.

“Fatti e non pugnette” io lunedì tornerò in azienda e grazie a te mi sono caricato di obiettivi concreti che spero quanto prima di realizzare.

Rifiuti, sappiamo sempre cosa farci

Era all’incirca il 1998 quando in azienda avevamo da poco costruito una nuova palazzina degli uffici, quella che oggi è l’accettazione. Eravamo nella fase di finitura dell’impianto elettrico, ed il nostro impianto di recupero di Pomezia, era giusto agli inizi di quello che sarebbe stato un lungo, aspro ma entusiasmante percorso. Al tempo lavorava con noi mio nonno Dante.

Se c’è una cosa che ho imparato negli anni, è quanto le origini di un’azienda improntino nell’azienda stessa una animo indelebile. Mio nonno (Ortolani) ma anche un altro nonno (Orsaia) che molti anni prima era presente, avevano il “recupero” nel sangue.

Era un giorno come un altro. L’impianto allora aveva molta meno impiantistica di oggi, c’era quindi molta più selezione manuale dei rifiuti rispetto alle tecnologie oggi utilizzate.

Quel pomeriggio vedo arrivare mio nonno con uno strano aggeggio nelle mani. Come spesso capitava, aveva trovato qualcosa di interessante tra i rifiuti. Era un asciugamani elettrico e sembrava nuovo e perfetto per il nostro bagno ma qualcuno aveva deciso di disfarsene e gettarlo tra i rifiuti… era il 1998.

Quell’asciugamani oggi è ancora attaccato in uno dei nostri bagni e da 24 anni svolge il suo lavoro. Perché vi racconto questo? Non è solo per trasmettervi quanto è nel “nostro” animo il “recupero” ma mi piace soffermarmi anche ad altri aspetti.

Qualcuno, 24 anni fa, ha buttato un oggetto funzionante generando un rifiuto tra l’altro composto da plastiche e materiali poco recuperabili con un probabile e conseguente avvio di buona parte di esso in discarica.

Qualcun altro, ha pensato bene di riutilizzarlo, sottraendolo alla discarica, riducendo la necessità di utilizzare nuove risorse per acquistare lo stesso oggetto nuovo e regalando all’oggetto una nuova vita.

Un sacco di persone nel frattempo hanno deviato il loro modo di produrre e consumare verso un sistema produttivo “usa e getta” in cui non è necessario (anzi è sconsigliabile) che un bene duri così tanto!

Molti altri, durante i 24 anni, gli stessi 24 anni in cui il nostro supereroe continuava ad asciugarci le mani, hanno continuato a comprare, utilizzare e buttare asciugamani obsoleti, chissà per quante volte!

Qualcun altro, io, oggi, poneva le mani e faceva un gesto ripetuto da 24 anni senza problemi e pensava a suo nonno.

La soluzione al problema dei rifiuti è non produrli.

#rifiutisappiamosemprecosafarci

Comunione Matteo

Argomento difficile quello della fede, soprattutto quando non hai più un buon rapporto con nostro Signore. Ieri Matteo ha fatto la prima comunione.

Mio figlio è un’anima pura, chi lo conosce lo sa e certamente tra i bambini che domenica hanno fatto la prima comunione, è tra quelli che nessuna confessione può rendere più puro di quanto lo è già. Va beh… se tra i peccati ci mettete, “ha rubato biscotti dalla cucina”, oppure “ha rubato il telecomando per vedere i cartoni senza permesso” allora andrebbe di certo nel girone dei ladri di biscotti e telecomandi.

Immagino che già accettare da disabile l’idea di un Dio che ti ama sia molto difficile, ma accettare l’idea di un Padre dei celi che ti ama, quando sei padre di un figlio disabile, è qualcosa che io ancora non riesco a concepire. Matteo forse un giorno amerà il suo Dio con consapevolezza, io per ora continuo a farmi domande.

Domenica Matteo ha fatto la Comunione, era bellissimo. E’ stato un’ora e mezza fermo al primo bancone, proprio davanti l’altare. Teneva la mano di mamma da una parte e di papà dall’altra, di certo consapevole che quella era una festa per lui. Dietro di noi tutta la sua famiglia. Qualcuno all’inizio della celebrazione gli ha detto qualcosa tipo: “Dai che oggi sei al centro dell’attenzione!” io soltanto tra me e me rispondevo “Lo è tutti i giorni… da sempre”.

Il corpo di Cristo… amen!

Questa volta cedo il posto..

Da aut-papà una delle cose che mi preoccupa, è la possibilità per Matteo di avere un giorno degli amici. Essere amico di un autistico è molto difficile ed è per tale ragione che molto spesso questi ragazzi sono condannati a non avere amici.

In una amicizia “normale” in genere, c’è un continuo dare e avere in gesti, parole sguardi o sensazioni, tutti elementi questi che in una relazione con una persona che tra i suoi deficit ha quello sociale, diventano spesso un dare a senso unico. Come si può essere allora amici ad un autistico?

Per me risulta facile amare Matteo. Il mio amore è incondizionato. Non ho bisogno che mi torni indietro niente per amarlo. Sono abituato a non risposte, a mancate dimostrazioni d’affetto, oppure a riconoscere tutto questo all’interno di piccoli gesti o parole spesso impercettibili agli altri. Ma soprattutto sono abituato a dissetarmi di attimi impagabili che ogni tanto arrivano, in cui un sorriso, una parola, un abbraccio mi trasmettono tutto quello che per giorni mi è mancato.

Per me è facile ma per gli altri? Non lo so e continuo a non saperlo anche dopo aver osservato ieri Matteo e la sua “amica” Michela giocare per ben 6 ore ininterrotte in una piscina.

Non so descrivervi la gioia di veder mio figlio giocare con una sua coetanea. Non so descrivervi la capacità di Michela nel sapere accogliere e coinvolgere Matteo annientando l’autismo. Se qualcuno li avesse osservati avrebbe visto semplicemente due bambini che giocavano. Io, guardandoli vedevo una speranza: la speranza che un giorno Matteo possa avere accanto amici come Michela.

E così oggi mi chiedevo ma cos’è l’amicizia? Probabilmente è qualcosa che come nel sentimento dell’amore, quando è vera, prescinde da ciò che ci torna indietro in gesti o parole e che ci porta a riconoscere nell’altro un bene prezioso da custodire con cura.

Questa volta cedo il posto…. Tu e la tua amica verso l’infinito e oltre! 🚀

Da sempre nel mio portafoglio, infilato da qualche parte, porto un kit cucito, di quelli che si trovano negli alberghi. In tanti anni che me lo porto dietro, non lo avevo mai usato. Poi un giorno incontro una sarta e conoscendo il mio vezzo, puntualmente, quando c’è da cucire in emergenza mi chiede ago e filo. Non so, ma tutto questo mi suona strano. E’ un po come se quel kit, negli anni, mancasse di qualcosa per avere motivo di esistere. ❤️

#amolamiasarta#okèunastilista#hocomunqueicalzinibucati