Da un po di tempo, essendo cresciuti, c’è un nuovo canale comunicativo tra me ed entrambe i miei figli, qualcosa che da sempre amo: la musica.
Con Elisa è oramai consuetudine scambiarci la musica. Lei viene e mi propone qualche pezzo dei “ragazzi” della musica di oggi, ed io ogni volta, cerco di fargli conoscere qualche cantante internazionale degli anni ’80 ’90 o qualche hit storica che ritengo dovrebbe far parte di un bagaglio musicale di base (lo so che qui già qualcuno starà pensando: “ovvero?”).
Succede poi, che mentre io non posso portarla a concerti dei miei idoli per ovvi motivi, lei mi coinvolga in concerti dei suoi… il prossimo “Frah Quintale”.. oh mamma!
Tutto questo mi suona come un dialogo, qualcosa che assomiglia a parole e discorsi nuovi contro parole e vecchi e risentiti discorsi ma che ancora funzionano bene. Ascoltiamo e cantiamo musiche diverse ma l’un l’altro ascoltiamo e siamo sempre pronti a conoscere la musica dell’altro.
Poi c’è Matteo! Che è passato dal mettersi le mani a tappo sulle orecchie per qualsiasi musica, al voler sentire a richiesta pezzi che impara sulla radio anche avendoli ascoltati una sola volta. E così capita che siamo in macchina e puntualmente mi chieda pezzi di Elodie (la sua preferita), LadyGaga, Elton John, Dua Lipa, Sangiovanni.
La cosa divertente è che non conoscendo i titoli, per farsi capire, cita qualche frase, finchè non gli chiedo di cantarla e allora, dato che è molto intonato, riesce chiaramente a farti capire che pezzo vuole ascoltare.
Un giorno, siccome non volevo ascoltare sempre gli stessi pezzi, gli ho proposto di scegliere a turno i pezzi e così alle sue richieste ho alternato pezzi anni ’80 dei miei tra cui in particolare Jon Bon Jovi.
Il giorno dopo, eravamo appena saliti in macchina e Matteo subito: “papà… metti sciacchinaaarr”! Da grande appassionato di BonJovi ci ho messo un secondo a capire che stava ripetendo a modo suo la prima frase di uno dei miei pezzi preferiti “You Give Love a Bad Name“.
Avevo tredici anni quando ascoltavo Jon Bon Jovi, chi avrebbe mai detto che un giorno avrei ascoltato e cantato gli stessi pezzi con mio figlio!
E così oggi passo da cantare Frah Quintale, a Elodie a: “Shot through the heart… And you’re to blame… Darlin’, you give love a bad name!!!”.
L’ultimo giorno di scuola ha un sapore strano. E’ traguardo e partenza allo stesso modo. Abbracci infiniti e poi baci come chi si lascia per sempre. Firme sulle magliette, canzoni e balli e poi palloncini che vengono lasciati andare, come se a volare fossero gli stessi bambini, lanciati verso chi sa quale futuro.
Poi ci sei tu.
L’ultimo giorno delle elementari segna per te e per noi un traguardo e allo stesso modo l’inizio di chi sa quali e quante difficoltà da affrontare. Sarai bambino tra bambini ancora più grandi. Sarà sempre di più la distanza tra la tua normalità e la loro. Sarà sempre più la sensibilità necessaria a comprenderti e ad amarti, così come sei, così come hanno fatto i tuoi compagni di classe per cinque anni.
E li ho visti oggi. Ero estasiato nel vedere ancora una volta come ti tenevano vicino, come ti prendevano per mano per aiutarti a ballare e cantare con loro. Li ho visti quando ti hanno firmato la tua maglietta e hanno voluto tu facessi la stessa cosa a loro. Li ho visti quando ti hanno dato un un regalo speciale, solo per te. Bacerei le loro mani e quelle dei loro genitori mille volte.
Sono riuscito appena ad aprirlo quel regalo. Alla prima pagina già non trattenevo l’emozione. Un bellissimo album fotografico con le loro foto… come a dire: “Eccoci, non ti dimenticare di noi”.
Se fossi giudice di una gara immaginaria oggi premierei la tua scuola come “scuola dell’inclusione” ed ogni bambino avrebbe una coppa d’oro. Le ho viste le tue maestre. Sono angeli che hanno vegliato su di te per cinque anni. Il loro lavoro ha permesso tutto questo ed io gliene sono enormemente grato.
E come se non bastasse, uscendo, c’erano pure le bidelle che ti aspettavano. Non erano saluti per convenevoli, non si abbraccia e bacia un bambino con quell’amore e quella tenerezza.
Cari bambini, cari genitori, care maestre e bidelle… noi con voi verso l’infinito e oltre!
50 anni di matrimonio, 18.250 giorni, 438.000 ore, 2 figli, 4 nipoti, tanti amici, avventure, gioie, poi dolori, tonnellate di pesce pescato da lui, tonnellate di pesce cucinate da lei…
Ci sono persone che ci mettono anni a trovare la persona giusta. Passano per storie difficili, per amori impossibili e sbaglio dopo sbaglio, ferita dopo ferita, arrivano a conoscere la persona giusta.
Poi ci sono quelli invece che si trovano e basta, si incontrano, così, semplicemente, come se il Signore li avesse creati appositamente l’uno per l’altra e chi sa, magari da qualche parte, li teneva già insieme, il Signore, prima ancora di metterli al mondo.
Io me la immagino la scena. Loro due piccolini, mano nella mano, pronti per nascere che tutti preoccupati chiedono al Signore: “Signore, ma come faremo a riconoscerci la giù?” e lui li tranquilizza e gli dice “Quando stando insieme vi sentirete infinitamente al sicuro, anche in mezzo ad una tempesta, o quando stando insieme vi sentirete davvero a casa, anche se vi trovasse dall’altra parte del mondo… ecco, in quel momento, riprendetevi per mano e tenetevi forte!”
La parte difficile, non è trovare la persona giusta… la vera difficoltà è riuscire a tenersela vicina, nonostante gli schiaffi che proprio la vita dopo che ti ha fatto conoscere, ti da. La vera difficoltà è crescere e cambiare, affianco ad una persona che cresce e cambia essa stessa ma nonostante tutto, riuscire a mantenere dentro di se, qualcosa che non deve cambiare mai.
E per questo bisogna semplicemente rinnamorarsi giorno dopo giorno. Riscoprire ogni volta che nonostante tutto, la persona che si vuole accanto è sempre la stessa… come se ci si fosse ritrovati… ancora una volta, come a prova che si era destinati da sempre a stare insieme.
Come lo spiegate l’amore voi? Io non sono capace di spiegarlo eppure lo vedo e lo riconosco… l’ho visto durante gli anni sia belli che brutti che ho vissuto da testimone di una storia lunga 50 anni; quella di mio padre e mia madre.
E credo sia una cosa l’amare, che non la si può spiegare ma si impara così, osservandolo, percependolo semplicemente, stando vicino a due persone destinate l’una per l’altra fino a che un giorno ti senti a casa e anche tu stringi una mano e sai di doverla tenere forte.
Sono arrivate tempeste, vi siete trovati lontano da casa, siete cambiati, eppure avete tenuto strette le vostre mani. Che nella vostra vita ci siano ancora tante gioie, tanta forza per affrontare i dispiaceri, tanti amici e certamente ancora tante tonnellate di pesce da pescare e tonnellate di pesce da cucinare.
Come faccio a fare in modo che Matteo venga chiamato per nome e salutato da tutti, anche quando l’anno prossimo andrà alla scuola media?
Come faccio a fare in modo che tutti nella sua scuola lo accolgano, così come vedo ogni mattina con frasi tipo: “Buongiorno Matteo”, “Ciao Matteo” e con quella gioia e quel tono che porta con se la sincerità e l’affetto di chi sta salutando?
Come faccio a fare in modo che nella sua nuova classe ci siano bambini che lo accolgano così come hanno fatto per cinque anni i suoi fantastici compagni delle elementari?
Come faccio a fare in modo che come quest’anno, abbia insegnati che amano il proprio lavoro ed hanno la passione necessaria e la volontà al che “nessuno resti indietro!”.
Come faccio a fare in modo che come quest’anno anche alle medie Matteo potrà andare in gita con i suoi compagni dormendo una notte fuori!!!
Ditemi con chi devo parlare. Non importa quante persone siano. Ditemi a chi devo raccontare che fantastico bambino è. Ditemi come faccio a convincere quella che sarà la sua nuova scuola, i compagni, gli insegnanti che le risposte che non darà a voce le troveranno scritte chiare nei suoi occhi.
Sapevate che nei musei, nei parchi divertimento, nelle fiere ed in tantissimi eventi, viene spesso offerto gratuitamente il biglietto d’accesso a persone disabili e quindi anche autistiche ed ai loro accompagnatori? L’ho sempre trovato un bel gesto.
E così aut-famiglie già largamente provate dai costi salati delle terapie “non coperte” dal servizio sanitario, possono accedere con i loro bambini a fiere, mostre ed attrazioni che possono in qualche modo allontanare per qualche ora i loro figli dai problemi quotidiani dell’autismo.
Ora il problema è che proprio nel momento in cui posso dire “Che figo! sono autistico e non pago il biglietto perchè qui sono ben voluto!” c’è sempre qualcuno all’ingresso che ti chiede l’aut-patentino!
Ogni volta che potremmo usufruire di qualcosa che ci faccia sentire meno diversi, ci si chiede prima di “certificare” la nostra diversità!
Cari bigliettai e capi dei bigliettai, ora, pur comprendendo che si cerca di evitare che qualche parassita usufruisca ingiustamente di questo beneficio, vorrei provare a farvi capire una cosa…
Quel documento che ci chiedete ogni volta non è un semplice foglio, ma è qualcosa che ha certificato per sempre il cambio di vita della mia aut-famiglia e di quella del mio bambino… tirarlo fuori non è proprio come esibire il greenpass.
Ho provato a immaginare soluzioni alternative al fornire il documento, ma non c’è niente che possa contribuire al vostro scopo di controllare gli accessi, senza indirettamente “etichettarci”.
Solo una cosa c’è, ed è uno strumento a metà strada tra la testa e il cuore: la ragionevolezza!
Se vedi che ti sto mostrando un documento, non star li a leggere e ad essere sicura che ho vinto! E soprattutto… se hai davanti a te un meraviglioso bambino che in effetti sembra un po strano, magari fatti bastare la sua stranezza e non chiedere nessun documento…
se sbaglierai vorrà dire che un parassita avrà avuto un biglietto gratis… ma se il tuo istinto avrà avuto ragione, avrai dato il miglior benvenuto possibile a quel bambino e a tutta la sua famiglia, allora si che quel gesto sarà pregno di umanità e di inclusione.
Domani 2 Aprile sarà la giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo ed oggi sono qui, come Alice nel paese delle meraviglie che festeggia il suo “non compleanno”, a festeggiare con voi il “non giorno della consapevolezza sull’autismo”.
Perché è ora che le piazze siano blu anche gli altri 364 giorni dell’anno, anzi perché non sia più necessario che le piazze siano blu ma che piuttosto quel blu faccia parte di una consapevolezza ovvia e diffusa.
Voglio condividere con voi un pensiero maturato negli anni… mio figlio è imprescindibile dal suo autismo. A qualcuno sembrerà ovvio, ad altri questo pensiero suonerà strano.
Quando a soli tre anni abbiamo scoperto che Matteo era autistico, ho come avuto la netta sensazione che qualcosa stesse portando via il mio piccolo o stesse nascondendo la sua normalità. Come se dietro al suo autismo ci fosse un bambino normale che in qualche modo non riusciva ad uscire.
Solo negli anni ho capito che mio figlio, con il suo autismo, è esattamente come appare. Con i suoi atteggiamenti “strani”, ripetitivi, ossessivi, curiosi ma anche con due occhi che sprizzano gioia e amore; con una furbizia da Arsenio Lupin e con altrettanta stupenda ingenuità.
Nessun bambino normale si nasconde dietro di lui. Ed è esattamente così com’è che lo amo.
Mio figlio è un essere perfetto. E’ il mondo la fuori che non lo è. Perchè ancora incapace di comprendere che diverso non è sbagliato! Siate consapevoli e se non ci riuscite chiamatemi in ogni momento che vi raggiungo e vi consapevolizzo io!!!
Intanto mi dicono che a Pomezia esiste la scuola più consapevole del mondo. Sono i bambini della classe di mio figlio che da 5 anni fanno squadra insieme al nostro guerriero. Oggi le loro maestre dal cuore blu, li hanno aiutati a fregiarsi di qualcosa che dica al mondo “io sono consapevole!”… e voi? Lo siete?
io e te, in un giorno diverso dal 2 aprile, verso l’infinito e oltre!
Oggi è la festa del papà… quasi me ne ero dimenticato sia come padre che come figlio. Il lavoro, la routine, i pensieri, questo brutto periodo storico. Insomma stamattina, in un momento tra i meno appropriati in cui ero super impegnato con un problema di lavoro, mi arriva una chiamata al cellulare. Avete presente no che imprecate qualcosa come “Eh mo chi è che rompe proprio adesso???”.
Poi la chiamata si tramuta in una videochiamata e dall’altra parte vedo un bambino, il mio bambino che capisce che è il momento e si prepara e si mette composto perché deve leggere qualcosa… e il mio cervello impazzisce perchè comprende cosa sta per succedere.
Non trattengo le emozioni e con esse le lacrime e mentre il mio campione legge il suo augurio di buona festa del papà, io lo ascolto in silenzio e in quel preciso istante sento la mia mente liberarsi di colpo. In un momento mollo totalmente qualsiasi pensiero, qualsiasi preoccupazione, dimentico qualsiasi cosa stessi facendo.
Questo è l’effetto che mi fai figlio mio… riesci a ricondurmi alle cose importanti ed a ricordarmi che se c’è qualcosa da festeggiare oggi, il merito è tuo e di tua sorella.
Io e te, festeggiando la vita sempre, verso l’infinito e oltre
Quando il tempo che avevo a disposizione era “giusto”, praticavo teatro a livello amatoriale. Ho sempre amato fare teatro, perché in gioco un’arte che prevale su tutte e di cui tutte hanno bisogno: saper comunicare. Quanti esercizi ho fatto per allenare la dialettica, la dizione, l’espressione della voce e del corpo, i tempi. Passavo ore a lavorare su testi teatrali, per fare in modo di trasmettere il più possibile alle persone un messaggio, un sentimento, una risata.
Poi un giorno è arrivato un marmocchio che negli anni, con i suoi super poteri, ha rivoluzionato il mio modo di comunicare. Con l’autismo tutto cambia. Se c’è qualcosa su cui l’autismo pervade, è proprio la comunicazione ed il modo in cui capire e farsi capire.
E così sono cambiati i miei esercizi. Ho imparato ad usare poche parole e soprattutto ad usare parole semplici, a rispettare tempi più lunghi e ad accettare come risposta, nella maggior parte dei casi, un silenzio.
Comunicare con mio figlio richiede la capacità di sapere quando parlare, ovvero cogliere l’attimo esatto in cui lui è pronto a ricevere il tuo messaggio, oppure creare le condizioni per fare in modo che ciò avvenga.
Con parole semplici, ho imparato a parlargli anche di cose apparentemente per lui complesse. Ho imparato sempre più a parlargli di sentimenti quali l’amicizia e l’amore, perché sono certo che in lui vive una forte sensibilità, lo leggo dai suoi occhi.
Ho imparato anche a non parlare, a lasciare che siano i gesti a farlo.
C’è un gesto ad esempio che io amo. Capita spesso che mentre mangiamo a tavola vicini, Matteo mi prenda per mano. Ecco, per quanto mi riguarda, non c’è spettacolo teatrale che fino ad oggi abbia saputo comunicare meglio di come lui fa in quel momento.
Io e te, tenendoci per mano, verso l’infinito ed oltre!