Quando il tempo che avevo a disposizione era “giusto”, praticavo teatro a livello amatoriale. Ho sempre amato fare teatro, perché in gioco un’arte che prevale su tutte e di cui tutte hanno bisogno: saper comunicare. Quanti esercizi ho fatto per allenare la dialettica, la dizione, l’espressione della voce e del corpo, i tempi. Passavo ore a lavorare su testi teatrali, per fare in modo di trasmettere il più possibile alle persone un messaggio, un sentimento, una risata.
Poi un giorno è arrivato un marmocchio che negli anni, con i suoi super poteri, ha rivoluzionato il mio modo di comunicare. Con l’autismo tutto cambia. Se c’è qualcosa su cui l’autismo pervade, è proprio la comunicazione ed il modo in cui capire e farsi capire.
E così sono cambiati i miei esercizi. Ho imparato ad usare poche parole e soprattutto ad usare parole semplici, a rispettare tempi più lunghi e ad accettare come risposta, nella maggior parte dei casi, un silenzio.
Comunicare con mio figlio richiede la capacità di sapere quando parlare, ovvero cogliere l’attimo esatto in cui lui è pronto a ricevere il tuo messaggio, oppure creare le condizioni per fare in modo che ciò avvenga.
Con parole semplici, ho imparato a parlargli anche di cose apparentemente per lui complesse. Ho imparato sempre più a parlargli di sentimenti quali l’amicizia e l’amore, perché sono certo che in lui vive una forte sensibilità, lo leggo dai suoi occhi.
Ho imparato anche a non parlare, a lasciare che siano i gesti a farlo.
C’è un gesto ad esempio che io amo. Capita spesso che mentre mangiamo a tavola vicini, Matteo mi prenda per mano. Ecco, per quanto mi riguarda, non c’è spettacolo teatrale che fino ad oggi abbia saputo comunicare meglio di come lui fa in quel momento.
Io e te, tenendoci per mano, verso l’infinito ed oltre!