L’abbraccio del pubblico

Peter Brook grande registra inglese, sosteneva che uno spettacolo nasce e trova il suo successo attraverso tre elementi fondamentali: “Répétition, répresentation, assistance” ovvero: Le prove; la messa in scena e il pubblico. Ora, le prime due sono abbastanza scontate e sottolineo abbastanza, ma l’ultima merita diverse riflessioni.

La maggior parte delle persone, anzi, io stesso fino a non molto tempo fa, credono che il pubblico sia solo il motivo dello spettacolo, ovvero la ragione per cui si monta e si mostra uno spettacolo. Ma la verità, è che il pubblico è un elemento fondamentale per la buona riuscita di uno spettacolo.

Qualcuno penserà che io sia matto, ma da quando l’ho capito, ogni volta che provo un pezzo e magari sono da solo, prima ancora di rivivere in me la scena da rappresentare, cerco sempre di immaginarmi un pubblico che mi siede davanti. Il pubblico è fondamentale, così come lo è stato qualche sera fa.

Mercoledì 31 luglio ore 21:45, sto per iniziare l’ennesima replica di Novecento, stavolta però, ci sono un sacco di elementi nuovi rispetto a tutte le altre volte che l’ho messo in scena.

Lo spettacolo è all’aperto, e questo da subito, dà alla scena una dimensione nuova. Parlare del mare, dell’oceano, in uno spazio aperto e non tra le 3 mura del teatro, rende tutto più vero, le tavole del palco si trasformano in quelle del ponte sulla nave di Novecento. Per non parlare del vento che di tanto in tanto mi investe, trasformandosi magicamente in una fresca brezza marina, insomma ci sono tutti i presupposti per un buon spettacolo. Tutti i presupposti! Ma uno in particolare… il pubblico, che per me, in quell’ora e oltre di monologo, si è concentrato tutto in un’unica persona: mia figlia!

L’ultima volta che avevo messo in scena Novecento nel 2009, Elisa aveva solo 2 anni, era quindi troppo piccola per poter comprendere un minimo della storia. Oggi però ha sei anni e una gran curiosità per tutto quello che ruota intorno al mondo dello spettacolo. Elisa è lì, in prima fila, centrale, ovvero a 2 metri dal punto in cui racconterò gran parte della storia.

Per chi non conoscesse “Novecento” di Baricco, dovete sapere che è uno dei testi che a mio parere meglio rappresenta il “teatro di narrazione” e a descriverlo in poche, anzi pochissime parole, è un racconto fatto dall’amico del protagonista della storia, il più grande pianista che abbia mai suonato sull’oceano e che nasce, vive e muore su una nave. Un racconto appunto.

Ora provate ad immaginarvi a casa, di sera, con la luce soffusa, mentre state raccontando una bella storia ad un bambino che magari è pure vostro figlio. Io lo faccio spesso, ma l’altra sera è come se avessi avuto l’opportunità di farlo ancora una volta, ma in grande stile.

La mia bambina era lì, ed io, a pochi metri da lei, le ho raccontato una storia, magari un po più articolata, forse con un po più di enfasi, ma nello stesso identico modo che avrei usato in altre circostanze per farla emozionare.

Certo la differenza era che in quella bellissima sera, affianco a lei e dietro di lei, c’erano sedute almeno una cinquantina di persone, ma la cosa bella è che anche loro, come tanti bambini, hanno riso e si sono emozionati con il racconto di Novecento.

Lo so, lo sentivo, vedevo i loro sguardi, era come quando a casa raccontavo una storia a mia figlia e mi ritrovavo a variare la voce, ad imitare i personaggi, a cercare il più possibile di attirare la sua attenzione, a farla ridere e perché no, anche spaventare. Insomma, nel corso del racconto, quando lei rideva, quando cambiava espressione sul viso, quando lentamente si avvicinava a me perché aveva paura, ecco, era allora che capivo che il mio “spettacolo” funzionava e più funzionava e più “funzionavo”. Così è stato l’altra sera, niente di meno. Il fantastico pubblico che mi sedeva davanti, ridendo, emozionandosi, in alcuni casi piangendo o semplicemente guardandomi con un’espressione di inconfondibile empatia, mi ha sostenuto, aiutato, esaltato, fomentato, spinto a dare il massimo che potevo nel raccontare la mia storia.

E’ stata una fantastica serata e gran parte del pubblico, a fine spettacolo, ha fatto la cosa che più amo, ovvero, è venuto sotto al palco per salutarmi o per stringermi la mano, ma nella maggior parte dei casi per abbracciarmi o baciarmi calorosamente.

Questa cosa è successa spesso alla fine dello spettacolo di Novecento. Non è un cosa banale. Voglio dire, chi ti abbraccia e normalmente anche se ti conosce non lo fa, è perché in quel preciso istante ha stretto con te un legame particolare.

L’affetto che ricevo dal pubblico in quei 10 minuti, mi ripaga di tutte le ore di lavoro impiegate per la preparazione del monologo, perché è la conferma che il bambino a cui ho raccontato la mia storia, ha riso o pianto o semplicemente a bordo del Virginian, si è lasciato cullare dall’oceano… con una tiepida brezza marina sul viso… accompagnato dalla musica degli dei… quella di  Danny  Budman  T. D.  Lemon  Novecento.