Avete presente quando vi entra in testa un motivo musicale e non riuscite a togliervelo dalla mente e allora vi ritrovate a canticchiare, o a tamburellare con le dita, o peggio ancora a fischiettarlo?
Quando però in testa vi entra una delle tarantelle più antiche: “la pizzica pizzica”, allora il ritmo della vostra giornata… accelera!
Quando mi hanno detto che nel mio paese ci sarebbe stato un gruppo Pugliese che avrebbe suonato delle tarantelle, la mia mente ha subito associato il genere a qualcosa di prettamente popolare, qualcosa che suonava di vecchio già nel nome, qualcosa che mi faceva pensare ai balli paesani, quando da bambino vedevo i miei parenti cimentarsi nel garage di mio zio, a ballare il liscio. E allora via di valzer, di tango, di mazurche. Insomma sono andato in piazza, giusto perché avevo voglia di incontrare i miei amici e non di certo per ascoltare una tarantella.
Il gruppo è pure arrivato tardi, ma a me interessava poco, visto che qualche mio amico era già arrivato nella piazza. Insomma, grande disinteresse per questo gruppo con un nome alquanto buffo: “Alla Bua”.
Grande disinteresse, fino a quando non hanno tirato fuori gli strumenti e due dei ragazzi, tra cui il cantante, non hanno iniziato a colpire con un gesto particolarissimo dei tamburelli, nemmeno tanto piccoli.
Forse per il suono percussivo, simile a quello di una grancassa di ben più grandi dimensioni, o forse per i campanellini, che risuonavano ai margini del tamburello con un ritmo tutto loro ma che era preciso e adatto a quello ben più forte e martellante, insomma da subito ho capito che stavo per ascoltare qualcosa del tutto inaspettato.
Ma insomma, come può piacere uno ritmo martellante e ripetitivo fino al delirio, in cui strumenti come il violino o la fisarmonica si rincorrono in virtuosismi estremi, in cui la voce di chi canta è solo un altro strumento, in cui il protagonista sembra essere solo un ritmo incessante scandito da tamburelli?
La pizzica è magica, è ipnotica, ma soprattutto è travolgente. Ascoltandola non riesci a star fermo, non puoi. I tuoi muscoli si ribellano, le tue mani, le tue gambe, ti chiedono di ballare, di muoverti, di accompagnare quel ritmo. Non puoi opporti.
Così, dopo solo qualche minuto, l’intera piazza del paese ballava la pizzica e non era importante conoscerne i passi, l’importante era far entrare quel ritmo dentro di te, far vibrare i tuoi sensi al ritmo di quei tamburelli. Centinaia di persone tra cui giovani e vecchi ballavano spinti da un’unica e travolgente energia.
In quel momento, era come se il mio paese con tutta la sua piazza, si fosse spostato di centinaia di chilometri e attraversando l’Italia fosse arrivato nel Salento, dove non sono mai stato, ma dove ora, grazie a quella musica, ho come la sensazione di conoscerne gli odori, la gente, l’atmosfera delle feste accompagnate da questo fantastico ritmo.
Quei sette ragazzi, sul palco, non stavano semplicemente suonando. Con la loro musica, al pari di quegli anziani che nelle tribù tramandano legende, stavano raccontandoci la loro storia, quella della loro terra. Da solo, quel gesto preciso che colpiva il tamburello, proveniva da generazioni e generazioni di loro compaesani che al ritmo di quella musica, hanno amato, lavorato, sofferto ma soprattutto ballato.