Il figlio del notaio

luca_piccoloQuante volte ci avranno chiesto durante la nostra infanzia “cosa vuoi fare da grande?” e quante risposte diverse abbiamo dato? Io spaziavo dai classici agli assurdi, passavo dall’astronauta al ferroviere, dal medico al giardiniere, oppure da quello che parcheggiava le autoscontro al poliziotto. Insomma quello che volevo fare da grande, era qualsiasi cosa avesse stimolato la mia fantasia di bambino in quel momento. Ma cos’è che nel tempo ci portiamo dietro e che ci porta a scoprire cosa saremo veramente da grandi? Ben poco!

Gli anni che passano ti cambiano e pian piano ti fanno dimenticare che avevi dei sogni, che volevi essere il parcheggiatore delle autoscontro! E così:
…se siamo sfortunati, ci ritroveremo senza un lavoro;
…se siamo nella media, ci troveremo a “dover” sceglierne uno che non ci piace;
…se siamo fortunati, troveremo un lavoro accettabile;
…se siamo molto fortunati, troveremo un lavoro che ci piace;
…se invece siamo fottutamente fortunati, allora troveremo il lavoro che avremmo sempre voluto fare.

Nel mio caso la faccenda è diversa: io sono un figlio di papà, fortunato si, ma non di quelli talmente figli di papà, da poter scegliere cosa fare nella vita. Io non ho avuto scelta. Io ho respirato talmente tanto il “lavoro di famiglia” che non ho potuto fare altro.

Ha iniziato mio nonno nel dopo guerra, raccogliendo e riciclando residui bellici, per poi passare a mio padre che ha continuato a gestire rottami fino a quando non ha intuito che il mondo dei rifiuti sarebbe stato il business del futuro.

C’è un’immagine fissa nei miei ricordi di bambino di almeno 35 anni fa. Una discussione animata tra mio padre ed un tizio. Una discussione finita con una frase che io da bambino, ho vissuto come qualcosa di cui vergognarsi. Con il peggior disprezzo il tizio disse a mio padre: “… tanto lo sanno tutti che da te non c’è altro che la discarica del paese”. Già! chi al tempo si occupava di rifiuti, era considerato un sudicio, uno sozzone. Ed io bambino non capivo, ma di certo arrivai alla conclusione che non sarebbe stato quello il lavoro che avrei voluto fare da grande.

Negli anni, soltanto la dedizione al lavoro, il sudore, i successi di mio padre, hanno spostato la mia attenzione dal tipo di lavoro al “modo” di lavorare. Negli anni ho capito che il tipo di lavoro che facciamo, non dice chi siamo. E’ il modo in cui lavoriamo che ci definisce, che parla veramente di noi.

E così da “monnezzari”, oggi siamo diventati “esperti ambientali”. Oggi la mia azienda tra dipendenti e indotto, dà lavoro a quasi 100 persone e nonostante io svolga uno dei mestieri più complessi e rischiosi del momento, sono fiero non solo di fare il mio lavoro, ma di farlo nel modo che da sempre mi è stato insegnato.