Il bulletto della merenda

Da piccolo alle elementari venivo bullizzato. Non ne ho mai parlato veramente, però un piccolo bulletto, Mirko Giallini, tutte le mattine mi aspettava per prendermi per il collo e per farsi dare la mia merenda.

Perchè ve ne parlo? Perchè in un certo senso dovrei quasi ringraziarlo. Il suo è stato solo uno dei tanti attacchi che ho ricevuto nella mia vita. Ora come diceva il grande e saggio Rocky Balboa: “non è importante quante volte cadi, ma come ti rialzi!”.

La vita ti colpisce continuamente con bulli e bulletti e tu puoi gettare la spugna o rialzarti, puoi trovare il modo di evitare gli incontri, oppure puoi fare come Rocky Balboa: Ti alleni e diventi più forte. Reagisci, sulla spinta della prima cosa che ti da una sconfitta… la voglia di rivalsa.

E così un giorno, dopo qualche tempo, succede che Mirko Giallini ti ricapita davanti e ti accorgi che ti arriva a malapena al petto e tu lo guardi ma lo vedi tanto ma tanto più piccolo. I colpi che hai ricevuto ti hanno fatto forte, ti hanno fatto un gigante e lui, bulletto delle merendine, sembra essere rimasto piccolo e insignificante. Potresti affrontarlo, potresti sopraffarlo ma sei forte e grande al punto che stranamente non ne hai il minimo interesse.

La vita poi continua ma stavolta hai imparato. Sai che arriveranno altri bulletti, riusciranno all’inizio a prendere le tue merendine, sarà un passaggio duro, una nuova metamorfosi ti aspetterà e come un gambero che cambia il suo carapace per uno ancora più possente, ancora una volta sarai più forte.

Mi piace osservare come anche nella mia vita lavorativa sia successo e quelli che mi hanno attaccano prepotentemente cercando di prendermi per il collo come bulletti, non hanno mai capito che è grazie a loro che cresco, è grazie a loro e a Mirko Giallini che diventano piccoli e piano piano… scompaiono.

Ps. Mirko Giallini è un nome di fantasia 😉

Come con qualsiasi altro bambino ma con tempi diversi.

Se c’è una cosa che temo sono le analisi del sangue. E va beh direte voi, grande e grosso e… quando poi le analisi deve farle tuo figlio e tu devi dargli coraggio, la cosa diventa complicata.

Sabato scorso ci siamo recati al laboratorio di analisi e mentre Debora entrava per prenotare e prendere il numero, io e Matteo siamo rimasti fuori in attesa, insieme ad una decina di altre persone.

Come spesso capita, quando ci troviamo in queste situazioni di attesa, noto le persone che osservano gli strani comportamenti di Matteo e lo fanno con atteggiamenti diversi. C’è chi guarda per il tempo che basta a capire la situazione e c’è chi invece guarda in modo morboso e insistente per capire chissà cosa.

L’altro giorno però, tra le tante persone, c’è stata una signora che dopo pochissimi secondi si è avvicinata a Matteo e ha iniziato inaspettatamente a fargli domande: “Ciao, che bel gioco che hai, come ti chiami?”. Naturalmente Matteo non ha risposto, anzi non ha avuto nessuna reazione. In queste situazioni in genere intervengo spiegando che abbiamo qualche difficoltà a rispondere, ma questa volta me ne sono rimasto in disparte.

La signora non si è arresa e nonostante la benché minima reazione da parte di Matteo, ha continuato a chiedere: “Sei proprio un bel ragazzo, ma quanti anni hai?” ma niente, Matteo non ha reagito. Mentre la Signora senza arrendersi faceva domande, ho visto le persone intorno sempre più concentrare gli sguardi sulla situazione. Potevo immaginare cosa stessero pensando: “Ma perchè insisti?” – “Ma non vedi che ha problemi” – “Ma che bambino maleducato” (eh si c’è chi pensa anche questo) – “Ma lascialo stare”.

Era arrivato il momento di intervenire e togliere la signora dall’imbarazzo ma proprio quando faccio per alzarmi, dopo l’ennesima domanda non risposta, Matteo si volta verso la signora, le poggia lentamente la mano sul braccio e la guarda in volto, poi risponde “Nove… ho nove anni”. Al che intervengo “Matteo sei sicuro? Quanti anni hai” e lui subito col tono di chi si corregge: “Ehm, ho 10 anni” e subito la signora con grande gioia replica: “Ma allora sei grande…”. Questo è stato l’inizio di una piccolissima conversazione, fatta forse di altre due domande fino a che è arrivato il nostro turno e siamo dovuti entrare.

Era arrivato il momento delle analisi, dentro, una giovanissima infermiera, ci aspettava. Ho subito esordito dicendole “Guardi, abbiamo bisogno di tanta pazienza!”, lei non mi ha risposto ma da sotto la mascherina ho percepito un sorriso e subito si è rivolta a Matteo: “Allora vediamo un po… “ instaurando un rapporto gentile e accogliente e dando a Matteo il tempo di orientarsi.

Ora, Matteo non deve certo aver preso da me che quando faccio le analisi giro la testa dall’altra parte. Ero già pronto a dargli una distrazione, come il cellulare con i suoi cartoni, invece lui ha assistito a tutta l’operazione guardando incuriosito il lavoro dell’infermiera.

Vi chiedete come dovete comportarvi con una persona autistica? Esattamente come hanno fatto la signora prima e l’infermiera poi. Come con qualsiasi altro bambino ma con tempi diversi. Tra le tante necessità, i nostri bambini hanno bisogno di un tempo diverso.

Se avrete questa pazienza e questa capacità, avrete la possibilità di scoprire un mondo certamente diverso ma all’interno del quale un bambino rimane sempre un bambino.

Io e te, insieme a chi rispetta i nostri tempi, verso l’infinito e oltre! 🚀

Un leggero cuore blu

Noi famiglie autistiche siamo lente! Vediamo le altre famiglie correre veloci dietro ai loro bambini veloci e lentamente, insieme ai nostri di bambini, cerchiamo spesso di raggiungere mete per noi inarrivabili.

E’ come se avessimo una palla al piede, di quelle che si mettevano ai detenuti per non farli correre. Noi però, prigionieri di un amore incondizionato, al posto della palla abbiamo un cuore blu e siamo ben felici che ci sia una catena a tenercelo stretto addosso.Siamo lenti e certo, quel cuore blu, certe volte, è pesante da portare.

Ad un certo punto però ci si accorge che con tutte le sue difficoltà, quel cuore blu non fa altro che rafforzare le nostre gambe, cambiando inevitabilmente il nostro modo di camminare.

Da quel momento, poco importa se ci sfrecciano affianco, noi camminiamo con passi lenti ma decisi e soprattutto, non contempliamo mai la resa.Il fatto è che noi, quando guardiamo quel piccolo cuore blu, riusciamo a vedere soltanto qualcosa di leggero. Tanto leggero che a volte, magicamente, ci sembra di volare e ci accorgiamo dall’alto che tanti normo-problemi sono in realtà piccolissimi e tante corse non sono poi così necessarie.

Noi, passo dopo passo, camminando o volando, verso l’infinito ed oltre 🚀

18 GIUGNO GIORNATA DELL’ORGOGLIO AUTISTICO

Oggi è la giornata dell’orgoglio autistico… ed io sono certo che molti di voi si domanderanno: “ma che c’è da essere orgogliosi?”.

Sono un papà di una famiglia autistica. Mi piace definirci così, perché l’autismo è qualcosa che non si ferma ad un singolo individuo e indirettamente e prepotentemente “contagia” tutta la famiglia.Siete spaventati da questo contagio? Questo perché non sapete che il contagio da autismo, è capace di trasformare le persone in guerrieri!

L’autismo è capace di trasformare migliaia di mamme, di papà, di fratelli e sorelle, in un esercito di persone che tutti i giorni combattono contro un mostro che tiene in mano i loro figli o fratelli. Sono orgoglioso di questo! Sono orgoglioso della battaglia che insieme alla mia famiglia combattiamo tutti i giorni.

Ma siamo solo all’inizio dell’orgoglio che provo. Perché tra i motivi del mio orgoglio più grande, c’è il guerriero primo, mio figlio. Non si può capire cosa sia la forza e la voglia di farcela, fino a quando non si vede lottare una persona, contro le proprie difficoltà, per ogni singolo istante della propria vita.

Mio figlio è un guerriero e questo mi rende orgoglioso. Se avete figli, vi sarà certamente capitato di dire “non cambierei mio figlio per niente” ecco, a me capita di pensarlo infinite volte. Mio figlio è un essere perfetto! E’ il mondo la fuori che non lo è per lui.

Ora sta a voi decidere: potete pensare che io sia patetico, oppure voltarvi ed osservare il mondo “normale” con i nostri stessi occhi e insieme a noi lottare per renderlo realmente inclusivo.

Io sono orgoglioso perché mio figlio, come dice sempre sua sorella, è un dispensatore di felicità. Una persona che è stata capace di ricondurci alle cose semplici, ad esultare per miglioramenti impercettibili, a gioire per traguardi che agli occhi degli altri sembrano banali.

Sono orgoglioso perché mio figlio è capace di suscitare empatia. E’ capace di farsi amare da tutti senza comunicare verbalmente. E’ capace di trasmettere la sua purezza attraverso i suoi occhi… e grazie a tutto questo, è capace di essere un condottiero per un intero esercito di persone al suo fianco: Noi, la sua famiglia, le sue terapiste, le sue insegnati, i suoi compagni di classe, i genitori dei compagni di classe, i nostri amici più stretti e con essi, tutte le persone che almeno una volta lo hanno potuto incontrare…

… chiedetemi ancora se sono orgoglioso.

Il Cinema

La nostra vita è composta di fasi, di momenti precisi che scandiscono perfettamente il tempo che passa. I figli, per chi li ha, sono una scure che taglia perfettamente il nostro percorso: la loro nascita, il primo dentino, il primo amore sono solo alcuni dei passaggi obbligati che nel bene o nel male segnano la nostra vita con grandi o piccole emozioni. A me ieri è toccata una grande emozione quando Elisa ha affrontato davanti tutti i suoi professori il suo esame di terza media!

Non vorrei raccontarvi che parliamo di questo esame da 2 anni, non vorrei ma non posso. Il livello di ansia di mia figlia è ereditario e purtroppo da entrambe le parti! Sono due anni che pensa a quale sarebbe stato l’argomento degli esami e dopo due anni, quest’anno finalmente ha deciso che l’argomento sarebbe stato “Il Cinema”.

Bene, dico io, lo trovo originale e permette facilmente di agganciarsi a tutte le materie. E così per Tecnologia decide di parlare della “Macchina da presa”; per storia della “Belle Epoque e dei Fratelli Lumiere”; per Inglese racconta in lingua la trama di “The terminal” interpretato da Tom Hanks uno dei suoi attori preferiti e così via per le altre materie.

“Ed Italiano?” Le chiedo io. “Papà, per Italiano ho deciso di parlare di Alessandro Baricco e di Novecento”. Ora pochi sanno perché a questa risposta mi sono emozionato, perché solo chi mi conosce sa che ho portato in scena a teatro decine di volte il monologo di Novecento di Baricco e pochi sanno quanto io sia particolarmente attaccato a questo monologo. Il piacere poi è aumentato quando mi ha detto “…peccato che la prof. di Italiano non sia tanto d’accordo perché vorrebbe io portassi qualche autore classico, ma ho insistito e porterò Novecento.”

Arriva il giorno dell’esame, siamo tutti emozionati. Solo la mamma può entrare, per via del Covid, poco importa, io mi metto da fuori appoggiato alla finestra e sono praticamente a tre metri da lei. Mi avvicino quanto basta ma resto voltato quasi di spalle perché non voglio rischiare di interferire. Sta per iniziare l’esame, Elisa prima di andare alla cattedra attira la mia attenzione e mi fa un gesto portando prima le dita agli occhi e poi al collo, il messaggio era: “se piangi ti uccido!”.

Mi conosce e sa che la mia emozione è forte. Ricordate il discorso delle fasi della nostra vita? In un attimo rivedo me agli esami di terza media e poi in sequenza: lei appena nata, lei bambina e poi finalmente metto a fuoco la mia ragazza che davanti alla commissione mantiene una calma eccezionale.

La prof più vicina a lei è quella d’Italiano, quella che tutti i ragazzi temono! In effetti nelle sessioni precedenti era quella che faceva più domande fuori tema. Se Elisa teme qualcosa agli esami è senz’altro lei, la professoressa di Italiano.

Inizia l’esame. Elisa con grande calma apre una cartellina che porta con se e chiede ai professori se può consegnargli un biglietto. Ed i professori restano subito colpiti dal biglietto che in pratica è la riproduzione di un biglietto del cinema, un biglietto dello spettacolo che anche loro insieme a me stanno per vedere.

La mia fase della vita sta scorrendo davanti ai miei occhi e me ne godo ogni singolo istante. Quasi ripeto la tesina a memoria insieme ad Elisa dopo averla ascoltata da lei che la ripeteva a me e la madre per decine e decine di volte.. ricordate il discorso dell’ansia?

La presentazione, il modo di esporre, tutto fila liscio, tant’è che i professori la interrompono come a dire “ok, basta così, va benissimo”. Ma proprio la professoressa di Italiano nota qualcosa, è come se Elisa non fosse soddisfatta. E allora le chiede: “Elisa, che c’è, vuoi dire qualcos’altro?”.

Ora, se stai dando un’esame e stai andando benissimo, tant’è che ti hanno fermato, tu non puoi voler aggiungere qualcos’altro giusto? E poi scusa, proprio la prof di Italiano te lo sta chiedendo… fermati!!

Ma Elisa, era evidentemente non soddisfatta, le mancava di dire qualcosa a cui teneva in modo particolare. Bene, io fino a quel momento avevo trattenuto l’emozione. Ma quando ha risposto “Si professoressa, vorrei parlare di Novecento di Baricco” beh allora non ce l’ho fatta, istintivamente ho fatto qualche passo per allontanarmi dalla finestra perché l’emozione era troppa, poi sono tornato e mi sono gustato lo spettacolo.

Non ha aggiunto altro il fatto che Elisa mi abbia detto poco dopo che aveva fatto questa cosa per me, non ha aggiunto altro perché era un messaggio che mi era arrivato forte e preciso.

La nostra vita è composta di fasi, di momenti precisi che scandiscono perfettamente il tempo che passa. Esame di terza media di mia figlia…. fatto!

Ti vorrei libera

Ti vorrei libera da quei pensieri

che di notte ti fanno stare male

e ti copri di ansie e non riesci a dormire

e guardi tik-tok fino a crollare.

Ti vorrei libera quando non parli,

quando lo so che ingogli i tuoi urli.

Dietro ai tuoi si – len – zi

sento benissimo quello che pensi.

Ti vorrei libera pure da me,

che in gesti e parole ci sei solo te

e solo se parlo ti faccio soffrire

ho sempre paura di poter sbagliare

Li – be – ra

… perchè amore così tu sei nata

che in questa barra c’è poco spazio

per raccontarti di quella giornata.

Vorrei vederti volare lontano,

così poi ti perdo e ti tengo vicino

al mio cuore di padre, dentro i miei ricordi.

Vedrai per tornare non sarà mai tardi.

Vorrei portarti indietro nel tempo

prenderti in braccio soltanto un momento

per poi saltare nel tuo domani

e vedere una donna li-be-ra

Gentile Sindaco…

Gentile Sindaco,

con immenso piacere ho appreso che anche il nostro Comune si è adeguato ad una fantastica iniziativa intrapresa da diverse Regioni Italiane. Finalmente si è andati verso le esigenze di soggetti che in questi momenti, più di molti altri Italiani, stanno pagando l’isolamento casalingo.

Avere un figlio con autismo ti porta automaticamente all’isolamento. Le famiglie autistiche già sapevano cosa significasse “io resto a casa” lo sapevano perché da sempre hanno sacrificato tanto per il bene dei proprio figli, proteggendoli da un mondo esterno che ad oggi ancora non è pronto ad accogliere il loro, di mondo.

Oggi finalmente i bambini autistici, con giuste limitazioni e nei casi di necessità, possono uscire di casa ma occorre a questo punto far comprendere a tutti quelli che leggeranno questo post quanto sia importante per loro uscire.

E’ importante farlo comprendere non solo per evitare che qualcuno pensi che con leggerezza si stia raggirando la quarantena ma soprattutto per evitare che qualcuno magari da una finestra, possa urlare contro o addirittura offendere un genitore e un bambino che in quel momento stanno soltanto cercando di evitare il peggio.

Già perché l’uscita serve ai soggetti con autismo per evitare che si arrivi alle tanto temute crisi. Momenti in cui, nel peggiore dei casi, i bambini/ragazzi arrivano ad atti di autolesionismo e tu genitore ti trovi a fare l’unica cosa che puoi fare in quel momento: sostituire il muro o il pavimento per prenderti quei colpi o quei morsi e soffrire meno di quanto soffriresti nel vedere tuo figlio farsi del male.

Ho la fortuna di avere un bambino con autismo lieve, ho la fortuna di poter capire le famiglie autistiche più sfortunate di me. Vi prego cercate di capire anche voi! …e quando vedrete un genitore mano nella mano con un bambino che girano per il vostro isolato o che vanno su un’altalena lanciategli baci!

Ogni volta un bacio

Combattere contro l’autismo ti porta ad affrontare tutti i giorni i più disparati problemi. A volte però sono effettivamente cose buffe, mio figlio ad esempio si deve assolutamente togliere le scarpe quando è a casa o quando è in macchina. Cioè per lui è automatico, entra in macchina e si toglie le scarpe, quasi a dover rispettare un’usanza giapponese.

Naturalmente tutta la nostra famiglia è campionessa mondiale di infilaggio di scarpe nel minor tempo possibile. Capita poi come stamattina che arriviamo a scuola e nel momento in cui cerco le scarpe per rimettergliele non le trovo! Panico! Matteo, dopo che gli ho messo le scarpe a casa, se le è sicuramente ritolte in pochi secondi e poi a piedi scalzi è salito in macchina!!!

E così, torna indietro, contatta la mamma che contatta la nonna che si alza e che va a prendere le scarpe e che gliele rimettiamo e che lo riporto a scuola e… gli do un bacio… ogni volta che superiamo un ostacolo do un bacio a mio figlio… qualcuno penserà “certo, gli vuoi bene” ed è vero, quel bacio però non è soltanto per lui ma anche per il suo autismo… giusto per fargli arrivare ogni volta un messaggio: NON CI FERMI!


Io e te verso l’infinito e oltre 🚀

Il primo giorno di scuola

Quanti primi giorni di scuola vi ricordate? Non ho dubbi, sicuramente il vostro o quello dei vostri bambini alla prima elementare o alla prima media. La nostra vita è fatta di giorni buoni e di giorni meno buoni e poi ogni tanto di giorni speciali. Accompagnare il proprio bambino a scuola il primo giorno è di solito un insieme di emozioni contrastanti che vanno dall’ansia che tutto vada bene, alla gioia di vederlo crescere.

Quando però hai un figlio autistico tutto cambia. Ed è assurdo dovervi spiegare che tutto cambia non a causa dei disturbi dell’autismo ma di un sistema scolastico che ogni anno rende questo giorno uno dei peggiori.

E così mentre le normo-famiglie si preoccupano se le maestre saranno brave, oppure se il proprio bambino andrà d’accordo con i compagni, o se sarà bravo a scuola, noi, famiglie autistiche, il primo giorno di scuola abbiamo in testa un’unica terribile preoccupazione: Ci sarà qualcuno ad occuparsi di mio figlio?

Magari saprete che i bambini autistici, come ogni altro bambino che ha disabilità, hanno una assistente o una insegnate di sostegno, ed è vero, ma per i primi giorni di scuola spesso non così!

I primi giorni di scuola, siccome le risorse sono poche e le scuole devono arrangiarsi con quello che hanno, capita che queste risorse ancora debbano essere assegnate, capita troppo spesso che i bambini ancora non abbiano assegnata né una assistente educativa né una insegnante di sostegno!

Capita quindi che tu famiglia autistica arrivi a scuola e vieni a sapere che non ci sarà nessuno che si occuperà di tuo figlio, nessuno che lo aiuterà a trovare l’aula, ad andare in bagno, a relazionarsi con gli altri… nessuna mano sicura a cui affidare la sua mano.

E così quello che normalmente dovrebbe essere un giorno speciale, si tramuta in uno dei centinaia di giorni in cui noi famiglie autistiche combattiamo contro un sistema che non è pronto ad accoglierci.

Quest’anno Matteo farà la terza elementare, ancora non sappiamo con certezza quali e quante risorse la scuola gli assegnerà, ma sappiamo che sono già due anni che è circondato dall’affetto di una classe che lo ama… tante piccole mani sicure a cui lasceremo tranquillamente il nostro bambino… e questo ci fa ben sperare in un mondo migliore, un mondo dove… nessuno deve restare indietro!

Il leone mangia bambini

Papà mi racconti una favola? Così ieri se n’è uscito mio figlio in spiaggia, dopo avermi invitato a sdraiarmi con lui sul telo da mare. E che ci sarebbe di strano? È che quando sei privato di qualcosa, qualsiasi cosa, anche una cosa semplice e scontata agli occhi degli altri, si ingenera in te un meccanismo per cui quando poi quella cosa arriva, è come bere l’acqua più fresca e buona del mondo dopo che hai attraversato il deserto.

E così ieri è stata una giornata fantastica, una giornata da finale della coppa del mondo. Bagno al mare, tuffi a non finire, e poi, su specifica richiesta del mio campione, abbiamo inventato una favola. Già perchè quando sei abituato a sentirti chiedere le favole, probabilmente ne sai qualcuna a memoria o te le sei preparate. Quando invece di tutto ti aspetti da tuo figlio tranne che ti chieda una favola, beh allora inventi e inventi velocemente. E così… c’era una volta un Leone mangia bambini… dalla storia poi siamo passati al gioco e così: “papà giochiamo al leone mangia bambini?”…. acqua fresca! Un sorso dopo l’altro.

Perchè vi sto raccontando tutto questo? Perchè mi sarebbe piaciuto far arrivare le emozioni che ho provato io durante la nostra giornata, a quel papà che ieri sera al ristorante, sedeva solo con la sua figlioletta, a poca distanza da me e Matteo. Anche lei chiedeva ripetutamente “papà facciamo…” ,“papà, ma perchè…?” ed ogni altra possibile domanda utile ad attirare l’attenzione del papà. Il papà però, se ne stava tranquillamente con il cellulare in mano digitando chi sa cosa e senza nemmeno alzare lo sguardo, annuiva con un “mmhh…. si si… certo…”.

Esistono tanti leoni mangia bambini, il nostro si chiama autismo ma giorno dopo giorno gli facciamo perdere i denti! Non conosco la storia di quel papà e non voglio giudicarlo ma quanto mi piacerebbe lui conoscesse la mia di storia, come anche la storia di tante altre “famiglie autistiche” dove tutto è diverso, noi stessi lo siamo e ogni tanto, mentre attraversiamo il deserto, quando meno ce lo aspettiamo, ci rinfreschiamo con l’acqua più fresca e buona del mondo… il sorriso dei nostri bambini.