Il Paradiso

Il paradiso,
chi lo immagina sulle nuvole tra angeli che cantano e una luce che ti avvolge e chi se lo figura come un arem con tante vergini solo per lui…. per me è molto di più. Il paradiso è dove non puoi morire e quindi non c’è paura. Il paradiso è dove non hai un corpo e quindi non ti ammali, non invecchi, non soffri. Il paradiso è dove non c’è terra da conquistare e quindi non ci sono guerre da temere. Il paradiso è dove ritroverò i miei fedeli compagni di viaggio: Molly, Minnie, Lady, Jango, Lupo, Panky. Il paradiso è dove ci aspettano tutte le persone care che abbiamo perso. Quale altro luogo può essere il paradiso? (LDO)

Quando hai in bambino autistico..

Quando hai un bambino autistico festeggi per ogni suo nuovo traguardo, per ogni nuova parola che gli senti ripetere… già, come per i bambini “normali”!.. solo con una felicità diversa, perché ogni nuova parola che gli senti pronunciare si mette tra te e il suo isolamento.

Gli artisti

Il poeta, l’attore, il musicista, l’artista in ogni sua forma lo crea il pubblico unico e sovrano. Non esisteranno mai tecniche/ci, teorie, sofismi o altro che potranno mai confutare l’opinione positiva o negativa del pubblico.

Poi ci sono artisti protesi verso un pubblico ormai appartenente al passato e che sono inevitabilmente destinati a fallire; artisti invece che furbamente seguono le scie e puntano al pubblico del presente riscuotendo un discreto successo, ed infine ci sono i geni, quelli talmente avanti che saranno riconosciuti solo dal pubblico del futuro e solo allora lasceranno un segno indelebile nella storia.

(LDO)

Piccole bolle di vetro

Sapete cos’è l’autismo? Sapete com’è un bambino autistico? Il modo migliore per comprendere un bambino autistico, è probabilmente quello di immaginarlo all’interno di una bolla di vetro trasparente. Ora, la particolarità è che da fuori si vede perfettamente il bambino che è all’interno, tuttavia chi è dentro la bolla, o meglio il bambino, ha una visione totalmente diversa di quello che accade fuori.

Cosa vede il bambino? Delle volte forme, luci e suoni bellissimi, soavi, leggeri, gradevoli, amabili; altre volte invece tutto quel che percepisce: le luci, i suoni, le forme insomma tutto! Diventa: assordante, abbagliante, sgradevole, spaventoso e tutto questo in tempi e contesti assolutamente casuali.Piccole bolle di vetro

Ora, se volete capire meglio, immaginate un bambino che ha tre anni. Ah già! non vi ho detto che è questa l’età in cui si forma la bolla di vetro, generalmente non prima e non dopo, dicevo, immaginate un bimbo, libero da qualsiasi filtro di vetro che fino ai tre anni come è ovvio che sia, riconosceva perfettamente le immagini, gli odori i suoni e ovviamente le parole della propria mamma. Immaginate poi a poco a poco, non subito, non immediatamente, a poco a poco, che il bambino veda il formarsi intorno a se di una bolla di vetro che piano piano distorce tutti i suoni, le forme e gli odori.

Da quel momento la semplice parola “mamma” che magari il bambino già pronunciava, inizia ad emettere per le sue stesse orecchie un suono diverso, un suono magari sgradevole e così da quel momento quel bambino non dice più “mamma” e quei profumi che magari avevano i suoi vestiti o quelli della mamma, diventano improvvisamente puzze. Perfino quelle lucine che giravano sul soffitto della cameretta diventano lampi infuocati.

Quel bambino allora, agli occhi di tutti, “stranamente” smette di sorridere, non parla più, sembra sordo, ha lo sguardo spento, anzi molte volte lo sguardo è perso, fisso verso un angolo vuoto della cameretta, dove magari non c’è niente, dove magari è solo quel niente che cerca e vuole guardare.

Il bambino allora non cresce più, certo, fisicamente diventa sempre più grande ma la sua età, quella evolutiva, si ferma, anzi per un po’, confuso dalla bolla di vetro, regredisce, torna indietro. Beh è chiaro no? come si può crescere se le parole che ti dicono sono incomprensibili e con esse i gesti, i suoni, le forme che ti circondano?

Succede allora che la natura che ha fatto dell’uomo qualcosa di adattabile a tutte le situazioni, spinge quel bambino a fare solo quello che riesce a comprendere, ma a farlo e rifarlo per decine, centinaia, migliaia di volte. Ecco, queste sono le stereotipie. Il bambino ripete mille volte parole o gesti e lo fà perché solo quello sà fare, ed in quello trova sicurezza e cerca di lottare contro la sua frustrazione di non saper far altro.

La bolla di vetro ora è ben formata, spessa, chiusa perfettamente intorno al bambino. Ed il bambino, chiuso nella bolla, si chiude al mondo esterno e si chiude nel suo di mondo, quello all’interno della bolla di vetro.

Ecco in pochissime parole cosa è l’autismo per un bambino.

Poi però l’autismo è anche altro, perché la bolla racchiude il bambino ma genera intorno a se un alone che ovviamente travolge tutti quelli vicini alla bolla stessa. E così, per chi è vicino alla bolla, ci sono notti insonne, milioni, miliardi di pensieri, angosce, ansie, stress, fatica e succede allora una cosa strana; improvvisamente è come se intorno alla famiglia si creasse un’altra bolla, ma più grande di quella del bambino, una bolla costruita dalla famiglia stessa per proteggere la bolla più piccolina, per non farla vedere agli altri, per non farla giudicare dagli altri, perchè gli altri a volte non comprendono che dentro la piccola bolla c’è un bambino, c’è il loro bambino. E pochi entrano…. e la famiglia, si chiude… anch’essa.

A questo punto però succede qualcosa e succede solo per via del fatto che la natura o Dio o scegliete voi, insomma qualcuno, affida le piccole bolle di vetro solo ed esclusivamente a famiglie, ad una madre ed un padre che hanno una forza speciale, quella forza che occorre per tirar fuori il proprio bambino dalla bolla di vetro.

La mia famiglia ha reagito! Il nostro bambino è ancora là, nella bolla di vetro, ma è in una bolla che è sempre più fragile, una bolla che lascia ogni tanto al nostro bambino la possibilità di vedere e sentire bene cosa succede fuori, una bolla che lascia al nostro bambino la possibilità di dirmi “ciao papà!” quando la sera arrivo a casa, già! per la prima volta, dopo circa un anno che ogni santo giorno quando arrivavo a casa e lo salutavo con tutto l’entusiamo che riuscivo a recitare, non faceva altro che continuare a fissare qualcosa di inutile o a guardarmi, a volte, ma con nessun interesse.

Come abbiamo fatto? Abbiamo conosciuto degli angeli speciali. Ecco, non è facile spiegarvi. Sono camuffati la maggior parte delle volte da giovani ragazze. Non le distingui facilmente, sembrano ragazze come le altre, ma nascondono in se quella forza necessaria a frantumare qualsiasi bolla di vetro.

E così Arianna, Giuseppina, Luciana, Martina, Paola, Rita, Serena con l’amore e la passione assolutamente necessaria a svolgere il lavoro che fanno, si stringono tenendosi per mano intorno alla bolla di vetro del nostro bambino e piano piano, non subito, ma piano piano, noi lo vediamo sempre più sereno, felice di capire e farsi capire, con lo sguardo che sempre più fissa noi e non gli angoli vuoti, con lo sguardo di chi capisce sempre più che fuori da quella bolla di vetro c’è un mondo diverso certo, ma soprattutto tanto e tanto amore solo per lui.

Guardate sempre oltre la bolla!

Gioie e dolori

Citazione

Ci sono gioie che non si possono descrivere perchè incontenibili all’interno delle parole… ci sono dolori che non si possono descrivere talmente profondi e contenuti all’interno di noi. LDO

Luce agli occhi

Il mio occhio sinistro ha deciso ancora una volta di spegnersi… perchè? Corioretinopatia Sierosa Centrale così si chiama, per gli amici CSC, beh così la chiama il mio oculista, ed è lui che la prima volta mi ha detto “Avrai delle recidive… insomma… purtroppo tornerai a non vedere bene e… sarà sempre peggio.”

E da allora io la…. beh “quella”… io non la chiamo più. Ho sempre paura che lei torni e che mi copra gli occhi e mi tolga la luce, come sta facendo adesso.

La prima volta che sono stato nello studio dell’oculista, fu alquanto buffo. Lui mi fa le solite domande di rito e tra queste l’età e quando gli dico “ho 38 anni e da un po di giorni non vedo tanto bene”, ricordo che mi ha guardato con sufficienza, insomma mi ha dato la sensazione che mi stesse per rispondere “è l’età… prima o poi tocca a tutti”. Poi però, il dottore, mi ha voluto vedere con uno strumento particolare, ed in un preciso momento, ovvero, in quell’attimo esatto in cui ha capito cosa avevo, ha stranamente cambiato atteggiamento.

Avete presente quando vi trovate di fronte un disperato e insomma, vi viene la voglia di aiutarlo e soprattutto di chiedergli: “ma come hai fatto a ridurti così?” Ecco, lui mi ha guardato con gli occhi “compassionevoli” ed ha iniziato a dirmi “ma che ti è successo?… che fai nella vita?”.

Vi sembrerà strano certo, penserete “che centrano gli occhi?” Beh la ….. insomma avete capito “quella”… è una patologia che prende solo ad un certo tipo di persone, quelle che vivono per ogni attimo della propria vita mille pensieri, quelle iperattive, quelle che non trascurano, quelle che non tralasciano, quelle competitive, quelle che devono pur se temono, pure se hanno paura… proprio come adesso.

Sono chiamate persone di tipo A, mi piacerebbe capire poi perché “A” e non “F” o “M”. Io sono una persona di tipo “A” e quindi ho vinto sta cosa. Cosa ho risposto al dottore? Beh, semplicemente quello che era accaduto nell’ultima settimana della mia vita… “E’ morto un mio operaio, sul lavoro, ho una pendenza per omicidio colposo e così tanto per controbilanciare lavoro e casa, mia moglie ha abortito alla 30esima settimana una bambina a cui già avevo dato un nome… è da quel giorno che ci vedo male…”.

Il dottore non ha risposto, non subito, beh forse era effettivamente sufficiente per definirmi una persona di tipo “A”.

E così, pare assurdo, ma questa fantastica patologia, proprio quando ti trovi in difficoltà e vivi momenti difficili della tua vita, ti oscura gli occhi, ti toglie la luce… che li per li sembra una difesa del corpo, un modo per non vedere il brutto che ti circonda, ma in realtà è solo un altro bel masso che si va ad aggiungere sulla tua schiena.

Ora, da ottimista, volendo vedere (si fa per dire), i lati positivi della cosa… ogni volta e dico ogni volta che i miei occhi perdono luce… ah già! perchè non ve l’ho detto… il dottore mi ha ben spiegato che: “vedrà dopo 20 o 30 giorni la cosa si dovrebbe riassorbire, questo finchè arriverà un giorno in cui… non si assorbirà più…”, ecco, io sono alla 4° volta sull’occhio sinistro e alla 2° sul destro… dicevo, ogni volta quindi che mi succede di perdere la luce, accade che inizio a vedere le cose in modo diverso, o meglio inizio a vedere le cose con gli occhi di chi potrebbe non vederle più come prima. E allora piano piano cerco di cambiare, insomma cerco di diventare almeno una persona di tipo “B” o “C”. In che modo? rallentando!

Spesso mi sono chiesto: “Ma perché devo vivere in questo modo? Perchè non riesco a lasciarmi un po andare? ad allentare la presa? senza voler sempre essere lì in prima fila, lì in testa a tutti, lì nel punto più alto?”

Beh in poche, anzi pochissime parole, perchè ce ne vorrebbero veramente troppe per spiegarmi… credo che qualcuno mi ha fatto così! Qualcuno mi ha voluto così… mi ha cresciuto così… mi ha insegnato così… ed ora, io, semplicemente, esigo da me stesso di essere così. Perchè la mia testa mi dice che non essere così significherebbe non essere.

Forse un giorno ai miei occhi resterà poca luce… spero che quel giorno ne abbiano giusto quella che mi servirà per continuare a vedere il bello, e perchè no anche il brutto di questa fantastica vita.

Il figlio del notaio

luca_piccoloQuante volte ci avranno chiesto durante la nostra infanzia “cosa vuoi fare da grande?” e quante risposte diverse abbiamo dato? Io spaziavo dai classici agli assurdi, passavo dall’astronauta al ferroviere, dal medico al giardiniere, oppure da quello che parcheggiava le autoscontro al poliziotto. Insomma quello che volevo fare da grande, era qualsiasi cosa avesse stimolato la mia fantasia di bambino in quel momento. Ma cos’è che nel tempo ci portiamo dietro e che ci porta a scoprire cosa saremo veramente da grandi? Ben poco!

Gli anni che passano ti cambiano e pian piano ti fanno dimenticare che avevi dei sogni, che volevi essere il parcheggiatore delle autoscontro! E così:
…se siamo sfortunati, ci ritroveremo senza un lavoro;
…se siamo nella media, ci troveremo a “dover” sceglierne uno che non ci piace;
…se siamo fortunati, troveremo un lavoro accettabile;
…se siamo molto fortunati, troveremo un lavoro che ci piace;
…se invece siamo fottutamente fortunati, allora troveremo il lavoro che avremmo sempre voluto fare.

Nel mio caso la faccenda è diversa: io sono un figlio di papà, fortunato si, ma non di quelli talmente figli di papà, da poter scegliere cosa fare nella vita. Io non ho avuto scelta. Io ho respirato talmente tanto il “lavoro di famiglia” che non ho potuto fare altro. Continua a leggere

L’abbraccio del pubblico

Peter Brook grande registra inglese, sosteneva che uno spettacolo nasce e trova il suo successo attraverso tre elementi fondamentali: “Répétition, répresentation, assistance” ovvero: Le prove; la messa in scena e il pubblico. Ora, le prime due sono abbastanza scontate e sottolineo abbastanza, ma l’ultima merita diverse riflessioni.

La maggior parte delle persone, anzi, io stesso fino a non molto tempo fa, credono che il pubblico sia solo il motivo dello spettacolo, ovvero la ragione per cui si monta e si mostra uno spettacolo. Ma la verità, è che il pubblico è un elemento fondamentale per la buona riuscita di uno spettacolo.

Qualcuno penserà che io sia matto, ma da quando l’ho capito, ogni volta che provo un pezzo e magari sono da solo, prima ancora di rivivere in me la scena da rappresentare, cerco sempre di immaginarmi un pubblico che mi siede davanti. Il pubblico è fondamentale, così come lo è stato qualche sera fa.

Mercoledì 31 luglio ore 21:45, sto per iniziare l’ennesima replica di Novecento, stavolta però, ci sono un sacco di elementi nuovi rispetto a tutte le altre volte che l’ho messo in scena. Continua a leggere

Perche la TARANTA è la malattia e la PIZZICA PIZZICA è la guarigione!

Avete presente quando vi entra in testa un motivo musicale e non riuscite a togliervelo dalla mente e allora vi ritrovate a canticchiare, o a tamburellare con le dita, o peggio ancora a fischiettarlo?

Quando però in testa vi entra una delle tarantelle più antiche: “la pizzica pizzica”, allora il ritmo della vostra giornata… accelera!

Quando mi hanno detto che nel mio paese ci sarebbe stato un gruppo Pugliese che avrebbe suonato delle tarantelle, la mia mente ha subito associato il genere a qualcosa di prettamente popolare, qualcosa che suonava di vecchio già nel nome, qualcosa che mi faceva pensare ai balli paesani, quando da bambino vedevo i miei parenti cimentarsi nel garage di mio zio, a ballare il liscio. E allora via di valzer, di tango, di mazurche. Insomma sono andato in piazza, giusto perché avevo voglia di incontrare i miei amici e non di certo per ascoltare una tarantella.russu-te-sira-il-nuovo-album-degli-alla-bua

Il gruppo è pure arrivato tardi, ma a me interessava poco, visto che qualche mio amico era già arrivato nella piazza. Insomma, grande disinteresse per questo gruppo con un nome alquanto buffo: “Alla Bua”.

Grande disinteresse, fino a quando non hanno tirato fuori gli strumenti e due dei ragazzi, tra cui il cantante, non hanno iniziato a colpire con un gesto particolarissimo dei tamburelli, nemmeno tanto piccoli.

Forse per il suono percussivo, simile a quello di una grancassa di ben più grandi dimensioni, o forse per i campanellini, che risuonavano ai margini del tamburello con un ritmo tutto loro ma che era preciso e adatto a quello ben più forte e martellante, insomma da subito ho capito che stavo per ascoltare qualcosa del tutto inaspettato. Continua a leggere