Il tempo scandisce periodi ben precisi della nostra esistenza, talmente precisi che a volte sembra di viverli e ricordarli come se appartenenti a nostre vite precedenti.
In una mia vita precedente ad esempio, ricordo di esser stato un condottiero, uno di quelli che sfidano i mari, sbarcano su isole remote e affrontano gli imprevisti e gli eventi senza paura! emhh va beh, proprio senza paura no, ma ricordo un episodio che da solo rappresenta e racconta tutta la mia vita di condottiero dei mari.
In questa vita, ero il comandante di una bella barca bimotore; d’accordo lo so, ci vuol poco ad esserlo, basta che te la compri e prendi la patente nautica. La mia bellissima barca il mio “galeone” a motore si chiamava “Capriccio” ed era ormeggiato nel bel porto di Nettuno.
Passavo interi giorni al porto a lavorarci sopra, a lucidarla, a sistemarne l’armamento. Certo io da vero comandante avrei dovuto affidare un lavoro così basso a dei marinai, dei mozzi, ma l’odore del mare, il vento che faceva tintinnare i filamenti delle vele, il rumore dell’acqua che sciacquettava sotto le barche ormeggiate; insomma l’atmosfera del porto era per me come un anestetico, come una droga inebriante. Dunque quel lavoro non mi pesava affatto, piuttosto era un modo diverso di vivere il mare.
Capriccio era una barca di costruzione americana, bellissima, cabinata, aveva quattro posti letto, un bagno, ed una cucina con un tavolo che all’occorrenza si poteva abbassare e convertire in ulteriori due posti letto. Era come avere una piccola casa galleggiante, attrezzata di tutto punto per navigare anche per giorni. Ma per quanto la barca fosse perfetta, io invece ero un giovane e coscienzioso comandate che sapeva bene che la sua poca esperienza da condottiero, non gli permetteva di spingersi verso mete troppo lontane.
Pensavo: Come si può sfidare il mare? il mare ha secoli di esperienza più di noi! se ne è inghiottite di barche il mare! navi, caravelle, galeoni. Poi c’era il fatto che Capriccio aveva i suoi dieci anni e nonostante esternamente fosse perfetta, dentro, nel vano motore, l’aspetto era tutt’altro che rassicurante.
Cosa avrei dovuto fare allora quella volta? insomma quando c’è di mezzo una ragazza, anzi una bella ragazza, non puoi mostrare di certo le tue paure… anzi… il tuo sguardo si fà vissuto; diventi impavido come il peggiore dei pirati e allora nessun mare ti fa più paura… fin quando è calmo.
Avevo conosciuto una bellissima ragazza e parlandoci inevitabilmente era uscito l’argomento “mare”. Non potevo non raccontare a Doriana, così si chiamava, il mio amore per il mare e soprattutto e non parlargli del mezzo con il quale ne cavalcavo le onde: il mio Capriccio. Ora se per conquistarla mentii sulla mia esperienza di condottiero, lei dal canto suo accettò di imbarcarsi con me, facendo però il grave errore di non dirmi che soffriva di mal di mare.
Nei giorni seguenti tirai a lucido Capriccio rifornendo la cambusa di quanto necessario ai giorni che avremmo passato in acqua. Trovandoci ad agosto era impensabile cercare posto in un porto turistico, proposi quindi a Dory una piccola crociera sull’isola di Ponza dove avremmo dormito in rada.
Dormire in rada è forse uno degli aspetti più belli di avere una barca come Capriccio. La rada ti offre la possibilità di poter cercare una zona riparata dalle correnti, magari dietro un’isola, buttare l’ancora e dormire lì, tu, il mare e il dondolio dolce della barca. Ponza era la meta perfetta per una crociera del genere. Permetteva di poter scegliere tra le centinaia di calette intono all’isola e non era nemmeno tanto distante da Nettuno.
Arrivò il tanto atteso giorno della partenza. Il mare era perfetto, l’acqua placida e immobile ci avrebbe garantito un viaggio tranquillo. Quasi due ore di navigazione dividevano Nettuno da Ponza, non era di certo uno scherzo. Fu allora che iniziai ad avere una preoccupazione, un presentimento; lo stesso che mi avrebbe accompagnato per tutta la crociera.
Prima di accendere i due motori, insegnai a Dory a mollare gli ormeggi. Era un modo semplice per renderla partecipe della navigazione e poi da buon condottiero avevo pur bisogno di un marinaio a bordo. Dory era abbastanza tranquilla, evidentemente il mio sguardo da vecchio lupo di mare, studiato per l’occasione, la rassicurava sul fatto mio. Continuavo ad avere il fastidioso presentimento, ma cercai di ignorarlo, pensando che era solo una paura dovuta dalla mia scarsa esperienza.
Lasciato il porto, regolai i motori al minimo per farli scaldare e portai Capriccio sulla rotta per Ponza. Era bellissimo, erano circa le 8.00 del mattino e una leggera foschia copriva il sole. L’aria era fresca, ed ora che stavamo navigando, il vento iniziava a farsi sentire più freddo.
Lontani dal porto aumentai la potenza dei motori portando Capriccio alla sua velocità di crociera e impennandone la prua verso il cielo. Il vento aumentò, tanto che Dory indossò un giacchettino che si era portata dietro. Aveva freddo, così la invitai vicino a me e tenendo una mano sul timone, lentamente, portai l’altra dietro la sua schiena. Era tutto perfetto!
Dopo quasi un’ora di navigazione comparvero le sagome di Ponza e delle sue isole satellite. Le isole di Ponza, Zannone e Palmarola, rappresentano insieme a Ventotene uno degli arcipelaghi più belli del mare Mediterraneo.
Dopo tutto quel tempo di navigazione durante il quale avevamo visto solo mare, tornavamo a vedere terra e quella terra ora si avvicinava sempre di più. In quel momento provai a rivivere l’emozione di chi, centinaia di anni prima, percorreva quel tratto di mare con ben altri mezzi, o di chi, come i veri condottieri, partiva senza sapere bene per quanto tempo sarebbe rimasto in navigazione.
Non era la prima volta che andavo a Ponza, anzi c’ero stato decine di volte, ma era la prima volta che ci andavo da solo, senza altra gente con esperienza di navigazione e questo mi faceva assaporare la cosa in modo diverso. Dory invece non era mai stata a Ponza e conoscendo l’isola, ero sicuro che le avrei regalato una bellissima esperienza.
La foschia si era diradata, ora il sole brillava forte e si faceva sentire, anche perché avevo rallentato Capriccio fermando quel vento umido che ci aveva bagnati completamente. Era tutto perfetto!
La maggior parte delle imbarcazioni che naviga verso Ponza, punta di solito a “Chiaia di Luna” un bellissimo posto dove un’altissima scogliera di roccia bianca disegna una mezza luna e fa da sfondo ad una insenatura enorme. Certo il posto era da mozzafiato, ma ad agosto avrei sicuramente trovato centinaia di barche. Decisi quindi di puntare a nord di Ponza verso Palmarola.
Parmarola è un’isoletta selvaggia, non abitata e con pochissime e quasi inesistenti spiagge, ma con un mare incredibile. Avevo trovato una piccola insenatura che era provvista anche di una stretta spiaggia, così mollai l’ancora e finalmente diedi il benvenuto sull’isola alla mia passeggera.
Passammo una giornata memorabile, tra bagni, sole ed un mare che credo di non aver mai visto così bello. Ci studiavamo a vicenda, e a vicenda ci piacevamo. Con il tenderino, il piccolo gommone agganciato a Capriccio, avevamo anche raggiunto delle grotte marine. La piccola imbarcazione ci permise di esplorare ogni insenatura dell’isola e di trovare
una spiaggetta dove pranzammo senza dover combattere con il dondolio della barca. Era tutto perfetto! niente più presentimenti, niente più paure, solo risate, spensieratezza ed una forte attrazione per Doriana.
Arrivò sera, le barche nostre vicine avevano salpato l’ancora, ma noi continuavamo a stare lì, sulla prua di Capriccio, da dove ancora si poteva prendere il sole. Non ci correva dietro nessuno, avevamo tutto il tempo, noi ed il mare. Poi il sole scomparve del tutto dietro l’isola, lasciandoci in ombra e così decidemmo di salpare.
Mentre Dory raccattava tutti gli oggetti lasciati sulla prua salpai l’ancora e mi sistemai il sedile. Misi in moto il primo motore e controllai i manometri, poi passai al secondo motore, ma quando girai la chiave… click… click… a vuoto, provai ancora, ma di nuovo … click… click… a vuoto.
Il motorino di avviamento non faceva presa sul secondo motore e questo chiaramente non partiva. Dory vedendomi provare ripetutamente si avvicinò per chiedermi se era tutto a posto. “Stai tranquilla cara, ogni tanto fa questo difetto, ma poi parte”. Da buon condottiero cercavo di tranquillizzare la mia passeggera, ma intanto il motore non partiva. Provai decine di volte, anche cercando di battere con un martelletto sul motorino d’avviamento, ma senza successo.
Si stava facendo sempre più buio e Dory era anche più preoccupata di prima. Decisi che dovevamo andare comunque. Se pur con un solo motore, dovevamo raggiungere l’altra parte dell’isola di Ponza. Nel frattempo infatti si era alzato un vento da levante e l’unico riparo per poter dormire in rada e non essere in balia delle correnti si trovava in quella parte dell’isola.
Come inizio della crociera non era poi tanto perfetto, ma rassicurai Dory dicendogli che all’indomani ci saremmo fatti assistere da un meccanico nel porto di Ponza.
Il problema di navigare con un solo motore non è quello di mantenere la rotta, visto lo scarrocciamento tutto da una parte che la barca subisce, ma il fatto che purtroppo si deve procedere molto lentamente. Avevo già una vaga idea di dove poter approdare:“Cala Inferno”. Il nome era tutto un programma e mi ero sempre chiesto come mai l’avessero chiamata così.
Dopo circa mezz’ora di navigazione a pochi nodi di velocità arrivammo di fronte alla cala. Mi resi conto che non ero stato l’unico ad aver avuto quell’idea, ma ero stato sicuramente uno degli ultimi. Decine di barche… un tappeto galleggiante… tutti avevano ben pensato di dormire in rada a Cala Inferno.
Con un solo motore e con Capriccio che scarrocciava tutta da una parte, cercai un buco tra le altre barche in modo da poter salpare l’ancora. Girai con difficoltà per qualche minuto finché, non trovando niente, decisi di ancorare sulla parte esterna del gruppo di barche, lontano quindi dalla riva.
Era buio, ma finalmente avevamo raggiunto il posto dove avremmo passato la notte. Avevamo decine di vicini di rada e la cosa da una parte mi tranquillizzava, dall’altra mi faceva temere. Al cambiare della direzione del vento infatti, le barche, trovandosi in mare aperto e ormeggiate da una sola ancora, ruotano tutte insieme intorno alle proprie ancore cambiando la geometria del gruppo. La mia paura era che durante la notte, ruotando, saremmo potuti andarci a scontrare contro un’altra imbarcazione, così decisi di dare poca catena all’ancora in modo da limitare il raggio d’azione che avrebbe avuto Capriccio nel ruotarci intorno.
Dovevo farmi perdonare in qualche modo da Dory. La bellissima giornata passata insieme a Palmarola si era guastata in poco tempo con quello stupido inconveniente. Dovevo creare un diversivo, così proposi a Dory di scendere sull’isola e visitare il paese. Avevamo il tenderino a motore e potevamo tranquillamente (o quasi) lasciare Capriccio in rada per poi andare sulla terra ferma. Così dopo esserci preparati, ammarai il tender e invitai Dory a salirci sopra. Proprio all’ultimo momento mentre stavo per partire, mi accorsi che mancava un remo, ma pensai che il motore del tender era nuovo e non ci avrebbe dato nessun problema.
Dopo aver percorso un bel tratto di mare, arrivammo a Ponza e lasciai il tenderino sulla spiaggia a ridosso del porto. Dory era molto serena, il tornare sulla terra ferma l’aveva messa di buon umore. Il paese era pieno di gente in vacanza, ed i negozi erano tutti aperti. Dory mi disse “Perchè non compriamo della frutta fresca, così domani a colazione ti faccio una macedonia? ” l’idea non era il massimo, visto che quel che compri su un’isola ti costa il doppio di quanto costerebbe sulla terra ferma, ma si trattava di poca frutta, così risposi “Ottima idea!”.
Venne l’ora di cena, avevamo già fatto una bella passeggiata tra i pochi vicoli del paese, era l’ora di tornare da Capriccio. Raggiunta la spiaggia, misi la frutta sul tender, invitai Dory a salire e spinsi a mano il gommone per qualche metro, poi salii anch’io. Messo il motore in acqua tirai la corda per accenderlo e … vroooomm partì senza problemi e al primo strappo.
Avevo finalmente riguadagnato qualche punto! Ingranai la marcia, ma quando andai ad accelerare… il tenderino rimase inspiegabilmente fermo. Era proprio così, il motore accelerava ma il tenderino rimaneva fermo.
“Che diavolo è successo!” pensai. Tolsi e rimisi più volte la marcia, ma niente, era come se il motore rimanesse a folle. Dopo vari tentativi ci rinunciai. Doriana era rimasta in silenzio, ma io sdrammatizzai chiedendogli se non fosse stata lei a sabotare prima Capriccio e adesso il tender “… non è che vuoi rimanere sull’isola sola con me?” il suo mezzo sorriso mi fece capire che avevo tutt’altro che sdrammatizzato.
Feci il punto della situazione: Capriccio si trovava molto distante; era notte fonda; il motore era in avaria, ed io…. avevo un solo remo! Niente panico! anche gli indiani hanno un solo remo! anche i gondolieri hanno un solo remo! anche… già io non ero ne un indiano ne un gondoliere.
Non volevo farmi vedere in difficoltà da Dory. Con fare sciolto mi inginocchiai sulla prua del gommone in modo da poter alternare una remata a destra e una a sinistra a mo di pagaia e piano piano anche se a fatica, ci avviammo verso Cala Inferno dove avevamo ancorato Capriccio.
Era una notte senza luna, di quelle che non si vede niente, e mentre vicino al porto si distinguevano le barche per via delle mille luci montate a festa, ora che ci trovavamo a metà strada eravamo nel buio più completo. Ero sudatissimo, e mi sentivo bagnato sotto le ginocchia. E’ entrata un po d’acqua pensai, ma quando abbassai lo sguardo vidi la frutta che avevamo comprato ridotta in poltiglia; avevo fatto la macedonia con le ginocchia. Ero imbarazzato al solo immaginare cosa Doriana pensava ora di me.
Usciti dal porto di Ponza si alzò il vento, ne immaginate la direzione? vento contro naturalmente! Aumentai il ritmo delle mie remate ma mi accorsi che il vento era talmente forte che avanzavamo solo di pochi centimetri alla volta. Proprio in quel momento, voltandomi, vidi una luce dietro di noi che si avvicinava e il rumore di un motore che si faceva sempre più forte. Era un altro tender! era la salvezza. Mi feci notare e agitandomi dissi “Mi scusi! Mi scusi! potrebbe aiutarci? abbiamo il motore in avaria”. Il ragazzo alla guida del tender accostò e senza problemi ci allungò una cima per trainarci fino alla barca. Ero esausto e non vedevo l’ora di tornare a bordo per metter fine a quella giornata.
Non so Doriana cosa pensava di me e non oso immaginarlo, ma credo che a quel punto si stesse domandando come diavolo aveva potuto accettare di venire in barca con me.
Il vento ora si faceva sentire più forte vista l’elevata velocità del tender che ci rimorchiava e dopo pochi minuti tra il frastuono del vento e del motore sentii il ragazzo alla guida che mi urlò: “Da che parte? da che parte devo andare? riesci a vedere la tua barca?” Provai a guardarmi intorno ma niente, non riuscivo a vederla, eppure dovevamo esserci.
Proprio in quel momento da una barca a vela a pochi metri da noi, un ragazzo in piedi sulla poppa mi disse ad alta voce “Scusa…. non è che è tua quella barca laggiù… quella alla deriva verso gli scogli?”.
Alla deriva? verso gli scogli? la mia barca? Capriccio?
Girai la testa con il terrore negli occhi e quando li strinsi per mettere a fuoco in lontananza, il terrore mi arrivò giù alle ginocchia che dall’agitazione sprofondarono ancor di più nella frutta. Solo dopo capii che con l’arrivo dell’alta marea l’ancora si era sollevato dal fondo consegnando Capriccio al mare aperto. Il mio galeone era in balia della corrente e si dirigeva spaventosamente verso un muro di scogli.
Chiesi al ragazzo che mi trainava di portarmi la e proprio mentre cambiava direzione, l’altro ragazzo, quello della barca a vela aggiunse “Scusa… se sei tu il proprietario, devi sapere che la tua barca quando si è disancorata ha urtato la mia…”
Ero nel panico! ma ora quel che contava era salvare la mia barca; salire sulla mia barca; riappropriarmi della mia barca. Il ragazzo non finì di parlare che noi già ci dirigevamo verso Capriccio e solo quando eravamo ormai a pochi metri mi accorsi che sopra c’erano degli sconosciuti intenti a manovrarne i comandi.
Qualcuno era salito sulla mia barca, due persone con l’esattezza e le stesse avevano un loro gommone ormeggiato dietro Capriccio. Quando arrivai chiesi loro chi fossero e questi con tono ironico: “Aaahh! lei è il proprietario?” “Si sono io, voi chi siete?” e l’altro evidentemente ubriaco e con un accento francese mi disse “Garconnn , deevi ringrrassiare noi se la tua barrca n’est pas alleé contrro gli scogli”.
Capii che effettivamente era così, e l’altro, sobrio e parlando un accento del nord aggiunse: “Stavamo cercando di metterla a moto per portarla lontana dagli scogli”. Nel frattempo sia io che Dory eravamo saliti. L’uomo con l’accento del nord mi disse “Coraggio, avvii i motori così la aiutiamo ad ormeggiare in rada”.
I motori! oddio i motori! pensai che non potevo avviare i motori! uno era in avaria. Avrei completato il quadretto da idiota che piano piano mi stavo dipingendo. Mi vergognavo ma dovevo dirglielo, così inserii la chiave e proprio mentre stavo per dirgli “ehm… veramente uno dei motori è….” vrooooom il secondo motore partì senza problemi…. “santo cielo, magari è finito quest’incubo” pensai.
Il francese ubriaco intanto, come di solito succede a chi beve troppo, era entrato in paranoia e mentre salpavo l’ancora per cercare un nuovo posto in rada, iniziò a ripetermi senza sosta e con tono scontroso: “…quanti metri hai di catena? ehh?? 50 metri? 100 metri? 1000 metri? tutti! tutti li devi mollare, capito! TUTTI !! vedi la… quel veliero… io sono il capitano di quel veliero con quel cazzo di palo alto venti metri!” Ripeté questa frase non so quante volte, ed io pazientai senza nemmeno rispondergli, sia per non spaventare Dory, ma anche perchè sapevo che una volta arrivati in rada i due se ne sarebbero andati via.
Arrivammo finalmente in un punto di Cala Inferno dove c’era abbastanza spazio per fermarci, questa volta eravamo veramente vicini alla riva. Ringraziai i due ma il francese incurante continuava a biascicare le sue frasi e facendo il gesto dell’ombrello ripeteva “…io sono il capitano di quel veliero con quel cazzo di palo alto venti metri!”.
Mentre le volte precedenti ero preso dalle manovre e non mi curavo di quel che diceva o meglio di quel che indicava, questa volta senza volerlo seguii con lo sguardo la direzione del suo dito. Non potevo crederci: indicava veramente un veliero, ed era enorme e con un albero maestro altissimo.
Ero stanchissimo, depresso e anche un po spaventato. Il mio più che un presentimento era stata una premonizione. Dory era sottocoperta e credo si stesse preparando per la notte, io me ne stavo fuori all’aria aperta cercando di rilassarmi e godendomi il cielo stellato che vuoi per la mancanza della luna, vuoi per la lontananza dalle luci del paese, sembrava essere più vicino, più scintillante. Intorno una miriade di barche, alcune con le luci spente, altre ancora con l’equipaggio sul ponte a cenare, scherzare e godersi la serata.
Proprio mentre stavo guardando e invidiando i nostri vicini, mi accorsi che in direzione della nostra prua c’erano due barche affiancate, e sopra quattro uomini in agitazione che scambiandosi parole in malo modo travasavano delle cose da un’imbarcazione all’altra. Una delle due barche era evidentemente in difficoltà, ma pensai che con i problemi che avevo avuto, era l’ultima cosa di cui mi potevo preoccupare.
Raggiunsi Dory sottocoperta, finalmente potevamo dormire. Ci misi un bel po a prendere sonno e credo anche Dory non ci riuscì facilmente. In fondo era la prima volta che dormiva in mezzo al mare, senza contare tutto quello che ci era successo.
Ma quando le cose vanno storte, ci vanno fino in fondo!!!
Mi ero appena addormentato quando d’un tratto vengo svegliato da un rumore assordante che gira vorticosamente intorno alla barca. Ninonino ninoni era una sirena e qualche istante dopo sentii chiamare: “Ehi voi a bordo! Ehi voi a bordo! Ehi voi a bordo” una voce amplificata da un megafono ce l’aveva chiaramente con noi. Mi vestii in fretta e appena fuori trovai la motovedetta della guardia costiera che ci puntava un faro contro.
“Oddio, e mo che ho fatto?” Uno dei marinai con tono agitato mi disse: “Dovete salpare subito l’ancora… guardi la… c’è una barca che sta affondando e vi sta venendo addosso!” Dio dei mari!!! cosa???
Voltai lo sguardo dietro di me e vidi uno scenario terrificante. Una delle due barche dove poco prima stavano armeggiando freneticamente stava affondando, si era messa in verticale e ondeggiava paurosamente verso di noi.
“Non posso crederci… non è possibile…” in quel momento uscì Dory, ma non ebbi il tempo di guardare la sua faccia di fronte a quello spettacolo, ero già al timone a salpare l’ancora… oddio i motori! partiranno?… vrooom… e via.
Mi tolsi immediatamente dalla rotta del relitto e mentre mi allontanavo osservavo ancora la sua prua che ondeggiava in verticale. Di nuovo e per la terza volta, stavo vagando in mezzo a quella miriade di barche, alla ricerca di uno spazietto dove poter salpare l’ancora. Niente, non trovavo niente. Decisi come prima di spingermi nella zona esterna della caletta, laddove qualche ora prima Capriccio si era disancorato.
Questa volta sapevo bene cosa fare, ancora sentivo il francese ubriaco che mi diceva “Tutta! 50, 100, 200 metri? molla tutta la catena che hai!”. Mentre mi spingevo sull’esterno della caletta sentivo i passeggeri delle altre barche mandarmi a quel paese per il rumore che i miei motori stavano facendo. Erano le 3:00 di notte ed avevano tutte le ragioni per farlo.
Da lontano scorsi un catamarano, un bellissimo catamarano blu e vedendo che c’era spazio a sufficienza mollai l’ancora ad una trentina di metri da esso. Doriana era li, vicino a me in silenzio, non diceva niente, ormai era sopraffatta dal quella serie di eventi. Tornammo a dormire ancor più stanchi di prima.
Questa volta crollai subito, forse rilassato dalla convinzione che non poteva accadermi più nulla, ero veramente arrivato al limite. Nel prendere sonno rivedevo le scene di quanto successo e mi sembrava di trovarmi in un incubo. Proprio quando avevo appena preso sonno…
Ninoninoninoni era di nuovo la sirena e qualche istante dopo di nuovo la voce al megafono “Ehi voi a bordo! Ehi voi a bordo! Ehi voi a bordo” ce l’aveva ancora con noi.
Uscii di fretta e ancor prima di guardare la motovedetta mi voltai intorno alla ricerca di una qualche barca che affondava o di chissà quale catastrofe. Niente non c’era niente. Il marinaio allora interruppe la mia ricerca “Siete stati voi ad urtare una barca a vela qualche ora fa?” già! la barca a vela… chi ci aveva più pensato.. “Si… beh involontariamente…” risposi e subito l’altro accostandosi a Capriccio mi disse “Bene, mi dia la sua patente”.
Erano le 4:00 di mattina! prendo tutti i documenti, apro la patente e quando vado per dargliela mi accorgo che manca la foto! La cerco di corsa nel portafoglio e la trovo appiccicata sulla carta di identità, allora dico al marinaio “Stia attento si è staccata…. “ l’avessi mai fatto… il marinaio con un’aria minacciosa, di chi si è dovuto svegliare alle 4:00 per venire a cercare una barca tra centinaia, mi interrompe “E’ lei che deve stare attento!” lo ricordo benissimo, usò lo stesso tono del russo quando disse a Rocky “Ti spiezzo in due!” ero atterrito, esausto non ne potevo più.
Fortunatamente (si fa per dire) la guardia costa si prese solo i miei dati e mi lasciò andare, anche loro come me non cercavano altro che tornare nella branda per dormire quelle poche ore rimaste al nuovo giorno.
A letto io e Dory ci guardavamo increduli e ridevamo su battute stupide, come due pazzi nel pieno della loro follia. Tornammo a dormire e ricordo che rimanemmo un’ora a parlare. Rimanemmo svegli finchè gli occhi si chiusero da soli, finchè…. bummmm…. bummmm…. bummmm saltai in piedi di colpo, qualcuno stava battendo dei colpi sul nostro scafo come a bussare.
Saltai subito fuori e vidi tutto blu, completamente blu, il blu del catamarano che con il cambiare del vento ci era venuto addosso. Uno dell’equipaggio stava cercando disperatamente di allontanarci e mentre con una mano ci spingeva con l’altra bussava sul nostro scafo.
“BASTA !” non ne potevo più! erano le 6:00. Misi in moto i motori e me ne andai via da quell’inferno, via da cala Inferno!
I giorni dopo a venire, per quanto non possiate crederci, sono stati bellissimi. Non potendo, anzi non volendo dormire di nuovo in rada, cercai e trovai con una gran fortuna un posto barca a cala Feola dove passammo il resto della vacanza tranquilli e sereni.
Quella fù l’ultima mia esperienza da condottiero dei mari. Doriana anni dopo, in un’altra delle mie vite, è diventata mia moglie. E’ strano quanto a volte a distanza di tempo ci ricordiamo piacevolmente degli eventi negativi. Ancora oggi quando ci raccontiamo di quella notte, lo facciamo stranamente con un pizzico di nostalgia.
Ogni evento della nostra vita lascia in noi qualcosa e quella cosa rimane nel tempo. Quando ne usciamo indenni, senza dolore, il ricordo anche di eventi sfortunati è piacevole, perché piacevole è pensare di avercela fatta nonostante tutto.