Vi siete mai chiesti con chi avrete a che fare per l’ultima volta? L’ultima volta! esatto, sto parlando proprio dell’ultima; quella estrema. Di chi per l’ultima volta avrà bisogno il vostro corpo? un prete?… un becchino?… no… nessuno di questi! l’ultimo, ma proprio l’ultimo, molto probabilmente sarà un semplice muratore.
Me ne accorsi quel giorno, quando nel silenzio più totale un semplice muratore tirava su l’ultimo muro, quello che per sempre avrebbe diviso il mio caro nonno da me, da noi, dalla famiglia, dalla sua tanto amata moglie. E mentre con la cucchiaia e la calce, il semplice muratore tumulava il loculo, a forza io mi tenevo in gola un urlo : “fallo ad arte quel muro!” e immaginavo mio nonno, un semplice muratore, che scuoteva la testa, come spesso faceva quando vedeva un altro usare la cucchiaia, e sapevo benissimo che se fosse stato lì, glie l’avrebbe strappata di mano per fargli vedere lui come si faceva.
Mio nonno era uno tosto! ma nel vero senso della parola, le mani indurite dalla calce potevano graffiarti con una semplice carezza. Ma era anche tosto quando si trattava di lavorare. Le cose non si dovevano fare bene, si dovevano fare semplicemente come diceva lui. Però, come tutte le persone vere, quelle fatte di cuore e sudore, quando gli chiedevi qualcosa non sapeva tirarsi indietro. Così spesso a casa mio padre, mio zio o altri parenti gli chiedevano piccoli lavoretti di muratura, e lui, oltre a non dire mai di no, sfoggiava in quei lavori la sua arte. E quando dico arte, non mi riferisco al solo mestiere, ma ad un certo lato artistico con il quale realizzava le sue opere. Negli anni ho spesso aiutato mio nonno nei suoi lavori e inevitabilmente da lui ho imparato molte cose riuscendo perfino a realizzare delle murature, però mi dicevo: “un giorno quando mi farò casa, gli chiederò di aiutarmi a sistemarla” perchè volevo anche a casa mia qualche espressione della sua arte.
Poi arrivò quel giorno, avevo una casa tutta mia e dovevo sistemarla e come di solito viene fatto per le ristrutturazioni, cominciai dalla recinzione. Avevo allargato il cancello che però aveva inevitabilmente richiesto la demolizione di un muretto che bisognava rifare. Chiamai mio nonno, felice finalmente di coinvolgerlo nei lavori. Ma quando gli chiesi se poteva rifarmi quel muro, rimasi deluso dalla reazione. Non disse di no certo, come al solito non si tirò indietro, ma quello spirito che da sempre lo animava, si era sopito nella stanchezza degli anni. Quei callarelli erano diventati più pesanti e sempre più lenti erano quei movimenti ripetitivi della cucchiaia che attacca la calce che a me tanto piacevano.
La cosa più triste del passare degli anni è quella repulsione involontaria che abbiamo della vecchiaia. Tendiamo a non vederci vecchi, non vogliamo vederci vecchi e per non vederci vecchi non vediamo nemmeno invecchiare i nostri cari.
Mio nonno fece quel muro, l’ultimo muro, muro che ancora oggi è lì, ed io capii che da quel muro in poi, avrei dovuto cavarmela da solo.
L’ultimo muro è quello che chiude per sempre i nostri cari nei nostri ricordi e dietro il mio muro, mio nonno è ancora lì e continua incredibilmente a segnarmi la strada.