Sade, opera contra naturam

Mi ci son volute ore di riflessione per decifrare quello che in me ha lasciato lo spettacolo “SADE opera contra naturam”. Aveva ragione un mio amico attore, quando un giorno mi disse “ricorda… dal giorno che inizierai a recitare non sarai mai più un semplice spettatore”. Vorrei però iniziare da molto più lontano.

Nel tempo ho maturato l’idea che ci siano due modi diversi d’andare a teatro. Abbiamo infatti la possibilità di prepararci, ovvero scegliere lo spettacolo che più ci piace, informarci sugli interpreti, sul testo, sull’autore o addirittura studiare l’opera stessa prima di vederla rappresentata in scena. C’è poi un’altra possibilità, ovvero quella di poter entrare in un teatro senza sapere cosa si stia effettivamente andando a vedere e come un grumo di creta intoccata, lasciare che le luci, la musica, la scenografia, gli attori, ci modellino nella mente uno spettacolo tutto nostro, fatto di suggestioni e privo quindi di pregiudizi, recensioni o interpretazioni altrui.

Più volte mi è capitato, per una ragione o per un’altra, di andare a teatro in questo modo, ma mai un regista era riuscito a lasciarmi in uno stato tale da non poter esprimere se effettivamente quello che avevo visto mi era piaciuto o meno. Per la prima volta infatti, quello che avevo visto e mi riferisco alle sole immagini, sembravano essere esclusivamente un mezzo attraverso il quale il regista, volesse assicurarsi di far arrivare allo spettatore pura verità e non l’interpretazione della stessa, unico modo probabilmente per far comprendere chi era il Marchese De Sade.

Ore 15.50, siamo arrivati a Prato e ci troviamo davanti ad un teatro chiuso. “Come? Lo spettacolo inizia alle 16:00!!!”. Telefoniamo subito ad un numero preso su Internet ed in breve ci dicono che abbiamo sbagliato teatro. Non possiamo perderci lo spettacolo dopo aver percorso 350 km per vederlo. Prendiamo la macchina e di corsa raggiungiamo il teatro “Il Fabbricone” nome che spiega esattamente cos’era in passato il capannone in cui stiamo entrando. Lo spettacolo è già iniziato.

Stranamente nessuno ci accompagna in sala e in un attimo ci troviamo completamente nel buio e come un’unica guida una luce fioca dal fondo, dove ora che siamo più vicini, si odono rumori a dir poco spettrali. Ci avviciniamo tenendoci per mano, perchè non si vede assolutamente niente, fin quando la luce fioca si rivela essere quella cupa ma viva di decine e decine di candele su candelabri e lampadari appesi al soffitto da catene lunghissime. Il tutto è inquietante, una scenografia minimale ma che copre una palcoscenico enorme. Scorgo due corpi di donne nude e poi un uomo elegante e sul fondo due figure con un lungo abito. Se non fosse stato per la certezza di essere entrati in un teatro, la suggestione che da subito mi ha trasmesso la scena mi avrebbe fatto esitare. Ci sediamo.

Lo spettacolo scorre lentissimo, perchè lenta è l’agonia e allo stesso tempo il piacere messo in scena. Tutto è così reale che mi disturbano i tecnici di suono e luci che estranei alla scena sono visibilmente presenti ai due lati del proscenio. La loro presenza distoglie la mia suggestione riportandomi alla consapevolezza che dietro quel che vedo ci sono degli attori, gli stessi che mettono in scena commedie o drammi. Ma è proprio così?

Durante le scene forti, tanta è la verità trasmessa dalle azioni, che mi viene naturale il domandarmi se in quel momento, quegli attori, stiano veramente mettendo in scena un personaggio o una realtà che gli appartiene. E più volte, allo stesso modo, tanta è la trasgressione, che mi chiedo quanto come attore sarei disposto a concedermi al pubblico, o meglio ancora ad offrire totalmente il mio corpo ad una scena simile.

Oggetto di scherno, abusi e violenze è un prete che per tutto lo spettacolo sconta i peccati della chiesa, colpevole di averci plagiato fin dalla nascita, di aver deciso per conto nostro cosa è bene e cosa è male. Il prete urla, si dimena, subisce e cerca con tutte le sue forze di evangelizzare, di spingere i suoi aguzzini a credere ancora una volta alla sua verità. Ciononostante i filosofi, al lato della scena, hanno una risposta chiara e inopinabile ad ogni ragione della loro vittima. Sono loro i veri carnefici ancor più dell’uomo elegante che con strumenti e con il suo stesso corpo perquote il prete.

Ascolto con molta attenzione il messaggio complesso ma chiaro del Marchese che in scena non c’è, ma che è ben presente nell’intera rappresentazione e mi accorgo che in quel momento, quello che ascolto mi turba molto di più di quello che vedo.

Quando lo spettacolo è ad un buon punto, mi rendo conto che non ha una trama, non ha una storia da raccontare ma è semplicemente la rappresentazione di un mondo in cui “l’oltraggio della natura ne rileva i suoi segreti”. Rimango affascinato da questa forma teatrale per me nuova e probabilmente nuova per lo stesso teatro.

Con l’unica scena visibilmente recitata finisce lo spettacolo. Troppi concetti, troppi per essere assorbiti in un’ora e mezza, sicuramente troppo pochi per convincermi ad accettare una logica “contra naturam” ma di certo sufficienti a metterla in discussione. Con grande fatica cerco di condividere il punto di vista del Marchese per capire quanto di quel che afferma è vero, ma puntualmente la mia logica o forse la mia morale, mi riportano a convincermi che è nel mio mondo la “normalità”… ma cos’è poi la “normalità”.